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Perché senza la riforma dei regolamenti parlamentari il Germanellum rischia di non funzionare

Di Stefano Gorelli e Claudio Tancredi Palma

Uno degli obiettivi dichiarati della riforma elettorale in itinere è la riduzione della frammentazione partitica, considerata un male per la stabilità degli esecutivi. Ha preso così corpo la proposta di un sistema elettorale di ispirazione tedesca con una soglia di sbarramento nazionale del 5% per la Camera dei deputati. Al di là delle valutazioni di merito di questa scelta, va posta la seguente domanda: una soglia di sbarramento, per quanto alta, è di per sé sufficiente a ridurre il numero di partiti in Parlamento?

In pochi considerano che il sistema elettorale in senso stretto (cioè il metodo di trasformazione dei voti in seggi) è solo un pezzo del sistema elettorale più ampiamente inteso. Infatti, se si vuole ridurre la frammentazione partitica, occorre toccare anche altre leve: in passato era la leva del finanziamento pubblico, così come oggi resta un fattore importante anche il modo in cui è regolata la par condicio in campagna elettorale, che può contribuire a un allargamento o a un restringimento dell’offerta politica.

Ma c’è una leva che più delle altre agisce sulla frammentazione del sistema partitico: il modo in cui i regolamenti parlamentari disciplinano la costituzione dei gruppi.

E visto che si parla – non sempre a proposito – di modello tedesco, la prima cosa da chiedersi è come funzioni nel Bundestag la costituzione dei gruppi parlamentari. Tre regole semplici: a) per formare un gruppo occorre superare la soglia del 5% dell’assemblea, cioè la stessa soglia che vale a livello elettorale; b) se una forza politica non raggiunge la soglia del 5% – ma è comunque in Parlamento grazie alla conquista di almeno tre collegi uninominali – può dare vita a una componente minore che però non gode degli stessi benefici e diritti dei gruppi, per esempio la rappresentanza autonoma in una commissione; c) criterio dell’omogeneità politica elettorale, ovvero i rappresentanti di liste concorrenti alle elezioni non possono aderire allo stesso gruppo.

In sostanza, la riduzione della frammentazione partitica che i tedeschi ricercano con il sistema elettorale, è salvaguardata, all’indomani delle elezioni, con il regolamento del Bundestag. E ciò senza attentare alla libertà di mandato dei deputati. Oggi l’Italia vuole importare il sistema elettorale tedesco (o meglio, la sua soglia del 5%), ma con il rischio di non contrastare efficacemente la frammentazione, perché i nostri regolamenti parlamentari non contengono nessuna delle tre regole sopra menzionate.

Primo. Per formare un gruppo alla Camera e al Senato la soglia è del 3,2%, cioè rispettivamente venti deputati e dieci senatori.

Secondo. Se un gruppo non raggiunge la soglia di venti deputati o dieci senatori, può comunque formare un gruppo, purché rappresenti un partito organizzato nel Paese che abbia presentato proprie liste di candidati in almeno venti collegi, ottenuto almeno un quoziente circoscrizionale e raccolto 300 mila voti a livello nazionale.

Terzo. Il criterio dell’omogeneità politica ci sarebbe, ma in realtà non c’è. Solo a titolo di esempio, in questa legislatura si è formato un gruppo (Per l’Italia) inferiore a venti deputati e composto da due soggetti politici non solo distinti, ma addirittura contrapposti (cosa vietata in Germania): il Centro democratico, che alle elezioni del 2013 si presentò nella coalizione Italia Bene Comune, e Per l’Italia, composto da fuoriusciti del gruppo Scelta Civica, a sua volta presentatasi in una coalizione concorrente.

Il vero problema è che a norme regolamentari già di per sé flessibili, si sono sommate nel tempo linee interpretative di quelle norme talmente funzionali alle esigenze politiche contingenti da snaturarne il senso. È come se attraverso continue “deroghe alle deroghe” si fossero modificati i regolamenti senza passare per il voto a maggioranza assoluta richiesto per la loro revisione. Con tutto ciò che ne consegue in termini di affidabilità e certezza del diritto parlamentare.

Il risultato è stato ovviamente il proliferare dei gruppi parlamentari, in totale “disallineamento” con i sistemi elettorali, e con conseguenze sistemiche enormi: alterazione dei rapporti fra maggioranza/opposizione nelle commissioni e negli organi parlamentari, fruizione di benefici di legge quali ad esempio, nel 2013, la drastica riduzione delle firme richieste per partecipare alle elezioni, in una sorta di circolo vizioso della frammentazione stessa.

E cosa accadrà domani, con il modello tedesco italianizzato che introduce alla Camera la soglia del 5%?

Potrebbe accadere che i centristi, considerata la soglia per loro ardua del 5%, chiedano ospitalità sotto il simbolo di un partito più grande, salvo poi cercare in Parlamento una strada per formare un gruppo parlamentare assieme ad altri eletti dell’emisfero sempre centrista. Inoltre, potrebbe accadere che soggetti a sinistra del Pd, o altri, possano concordare con quest’ultimo delle desistenze nei cosiddetti collegi “marginali” – come ai tempi del Mattarellum – salvo poi formare gruppi parlamentari distinti. Va detto che il voto congiunto di lista e di collegio, unito ad altre disposizioni del testo proposto dal relatore della legge, dovrebbe agire come forte deterrente al fenomeno delle desistenze, che restano però sulla carta sempre possibili e pianificabili nel complesso delle circoscrizioni elettorali.

Sono soltanto ipotesi di scuola. Ma è per dire che fino a quando non saranno modificate le norme regolamentari, al fine di impedire nomadismo e proliferazione dei gruppi, a nulla servirà introdurre soglie di sbarramento elettorali, esplicite o implicite. Perché dalla finestra rientrerà sempre quello che si è tenuto fuori dalla porta.

Passi, quindi, che dell’idolatrato modello tedesco sacrifichiamo la doppia scheda, il mantenimento dei collegi uninominali vinti “in eccesso”, la sfiducia costruttiva – insomma, sacrifichiamo tutto – ma ricordiamoci almeno dei regolamenti parlamentari, la cui revisione è diventata improcrastinabile. Anzi, lo sarebbe circa da vent’anni

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