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Cosa penso della Lettera alla Professoressa di don Lorenzo Milani

Lingotto, 5 stelle, molestie

Come Francesco, il “papa venuto da lontano”, così Don Milani, il “prete di Barbiana”, è fatto per piacere agli italiani, per riconciliarli con quel cattolicesimo che si portano dentro e che in verità ha saputo e sa suonare le più diverse corde dell’anima umana. Ciò che accomuna questi due illustri rappresentanti, di ieri e di oggi della Chiesa cattolica è il fatto che corrispondono, direi con naturalezza e spontaneità, ai dettami, impliciti ed espliciti, dell’ “ideologia italiana”, cioè di quell’insieme di “idee ricevute” e pensieri facili che placano i cuori ma poco contribuiscono a cambiare gli esseri umani e a porli di fronte alla loro condizione umana.

Anzi, come nel caso di Don Milani, possono contribuire non poco a peggiorarla. E mi riferisco proprio a quel progetto educativo che oggi il papa in visita a Barbiana ha lodato e che qualche giorno fa ha ricevuto da Valeria Fedeli la definitiva consacrazione da parte del potere pubblico con la spedizione ministeriale di una copia omaggio della Lettera alla Professoressa a tutte le scuole pubbliche italiane. Provo a sintetizzare, con gli esempi stessi della Lettera, il ragionamento di Don Milani. L’istruzione, per il prete di Barbiana, non deve far sì che Gianni, il figlio del contadino, si alzi al livello culturale di Pierino, il figlio del dottore del paese: deve piuttosto assumersi il compito di far capire all’intera società che le abilità manuali e la conoscenza della natura che ha maturato nei campi Gianni è cultura al pari delle cose che sa Pierino e che casomai ha appreso a casa già da piccolo, nella ricca biblioteca paterna. E che, che se ciò nessuno lo dice, è solo perché la società occidentale, che per sua natura è classista e razzista, ha creato una forma di dominio dei ricchi sui poveri che ha chiamato cultura. Ma, si chiede Don Milani, chi l’ha detto che cultura sia studiare Foscolo o l’Iliade? Questo tipo di cultura è “un friggere l’aria”. Chi l’ha detto che per farsi capire occorre rispettare la grammatica?

Con espressioni in linea con molto sessantottismo italiano e internazionale, Don Milani scriveva che “le lingue le creano i poveri ma i ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro, o per bocciarlo”. Questo cattolicesimo relativista e pauperista non giova, a mio avviso, né ai cattolici né ai laici. E, a ben vedere, non giova nemmeno ai poveri. Ai quali non si dice più di sgobbare e studiare per raggiungere e superare i ricchi in cultura (è questa la meritocrazia liberale): ad essi piuttosto si dice di bearsi nella propria ignoranza. Tanto, possiamo aggiungere, i ricchi hanno comunque i soldi per andare ad educarsi all’estero nelle cosiddette “scuole di eccellenza”, non a caso poche e prestigiose.

Un pacifismo e un pauperismo di maniera, un’idea di giustizia ridotta a mero egualitarismo, la tendenza a considerarsi minoritari pur avendo forgiato il modo di pensare dei “ceti riflessivi” di questo paese: sono questi i tratti più evidenti dell’ “ideologia italiana”. La quale alla fine ha vinto. L’incultura trionfa e noi ripetiamo senza fine gli errori del passato. Altro che “prete scomodo”, come dicevano oggi i telegiornali! Don Milani è stato piuttosto un arcitaliano sotto le consumate spoglie di antitaliano.


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