Più passano i giorni per trovare una soluzione alla crisi delle banche venete, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, e più la situazione resta confusa. Sono, infatti, ancora sul tavolo tutte le ipotesi, con l’aggravante però che ciascuna presenta delle controindicazioni.
LO SPEZZATINO
Lo scenario di cui negli ultimi giorni si è parlato di più è quello di un cosiddetto “spezzatino”, che comporterebbe la divisione in due delle banche in una parte buona (good bank) e una cattiva (bad bank), in modo piuttosto simile alle famose quattro banche Etruria, Marche, Cariferrara e Carichieti. Se ci si dovesse muovere in questa direzione, l’acquirente principale delle venete dovrebbe essere Intesa Sanpaolo, a un prezzo simbolico. Secondo indiscrezioni, tuttavia, sarebbero interessati al dossier anche gruppi come Bnl Bnp Paribas, Unipol e Iccrea (che poi ha smentito). Fonti vicine a Intesa hanno escluso la possibilità di lanciare un aumento di capitale per coprire parte delle perdite delle banche venete, in maniera simile a quanto farà il Santander per rilevare la spagnola Banco Popular. E’ lecito ritenere che lo stesso valga per gli altri potenziali interessati.
GLI INTERROGATIVI
Non è semplice attuare un disegno simile. E questo principalmente perché, per evitare lo spettro di un bail-in “puro”, che metterebbe a rischio dalle azioni ai conti correnti oltre 100 mila euro passando per le obbligazioni (ipotesi sempre respinta con forza dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, nella foto), servono soldi pubblici. E dove si mettono questi soldi pubblici? Se, per esempio, dovessero finire nella bad bank, il rischio che l’Europa bolli l’operazione come aiuto di Stato è alto. L’altro quesito riguarda chi sono gli “interni” della banca che saranno sacrificati: che lo siano azionisti e obbligazionisti subordinati (burden sharing) si direbbe ormai pacifico, mentre resta il dubbio sui possessori di bond senior, nel senso che non è chiaro se saranno risparmiati a priori o se invece saranno rimborsati successivamente (ma solo se si tratta di risparmiatori). Infine, è particolarmente complesso stabilire il perimetro della bad e della good bank. Il tempo stringe e si rischiano soluzioni raffazzonate a una crisi che va avanti ormai da mesi.
RICAPITALIZZAZIONE PRECAUZIONALE
Anche per via di queste difficoltà, non si esclude che si possa tornare alla casella di partenza, cioè la ricapitalizzazione precauzionale che presuppone l’utilizzo di fondi pubblici oltre che la conversione delle obbligazioni subordinate in azioni. Questa ipotesi era naufragata perché molte banche si erano tirate indietro davanti alla possibilità di aprire i cordoni della borsa per un intervento di sistema, cioè col contributo di tutti. Va ricordato che la Commissione Ue aveva domandato 1,25 miliardi di risorse private in più. In corsa erano, di fatto, rimaste solo le due banche maggiori, Intesa e Unicredit. Sulle banche venete, ha ribadito il presidente di Unicredit Giuseppe Vita a margine del forum economico italo-tedesco, “noi abbiamo detto che siamo disposti a partecipare a quella che è una soluzione di sistema proporzionale che coinvolga la grandissima parte delle banche italiane. Se adesso si torna ad una soluzione a due, no!”. E ancora: “In una soluzione di sistema noi siamo disposti a fare quello che è di nostra competenza. Se poi altri trovano delle soluzioni migliori, ben vengano”, ha aggiunto Vita.
L’AVVERTIMENTO
A complicare una situazione ingarbugliata, sono giunte anche le parole del presidente della Consob, Giuseppe Vegas. In Italia “non sono note le condizioni di redditività prospettica delle banche in crisi e quindi un intervento diretto da parte di altri intermediari potrebbe non rispondere a logiche di sostenibilità nel lungo periodo”, ha messo in guardia Vegas. Intesa e Unicredit, o anche Unipol e Bnl, sono avvisate: se comprano, anche a una cifra simbolica, non sanno poi quel che si portano dentro casa.