(Articolo ripreso da www.graffidamato.com)
Di fronte al sostanziale preannuncio del rinvio a giudizio della sindaca grillina di Roma Virginia Raggi per falso e abuso d’ufficio, ora che l’inchiesta della Procura è finalmente chiusa, non riesco a riconoscermi né nel giubilo degli avversari politici del Movimento delle 5 stelle né nel sollievo dei suoi sostenitori o fiancheggiatori. Che hanno probabilmente condiviso la soddisfazione del solito Fatto Quotidiano dell’altrettanto solito Marco Travaglio perché i capi d’imputazione della sindaca sono scesi da cinque a due, dovendo probabilmente rispondere la signora solo della nomina, a suo tempo, di un Romeo a capo della sua segreteria e del fratello dell’allora suo braccio destro Marra a capo di un dipartimento comunale, essendo parsa eccessiva la sua promozione, che pure era in cantiere e sarebbe stata legittima, da vice capo a comandante dei vigili urbani: quelli che una volta a Roma si chiamavano pizzardoni. Ora quasi più nessuno li chiama così, anche perché obiettivamente presenti più negli uffici che nelle piazze e per le strade, pure in occasione dei peggiori ingorghi, quando basterebbe un vigile, un solo vigile, con tanto di fischietto, a sbloccare il traffico.
Più banalmente o semplicemente, considero il processo in cantiere contro la Raggi una cosa superflua, inutile. Nè quel Romeo è più il capo della sua segreteria, né quel Marra è più il capo di un dipartimento. Se qualche danno è stato arrecato all’amministrazione comunale dai compensi che i due hanno per un certo tempo percepito con troppa generosità da parte della sindaca, dovrebbe bastare e avanzare, in un sistema ispirato al buon senso, una bella multa a suo carico, o una condanna amministrativa a rimetterci di suo per pareggiare i conti. Un processo penale mi sembra un’enormità, per quanto non abbia certamente votato per la vittoria della Raggi nel ballottaggio dell’anno scorso che la portò al vertice del Campidoglio.
Per chi fa politica, a qualsiasi livello, locale o nazionale, la perdita di consenso è più che sufficiente a penalizzarlo. Più che l’imminente – credo – rinvio a giudizio e la probabile condanna, nuocciono alla Raggi, e a una sua eventuale ricandidatura a sindaco nel prossimo turno elettorale, le buche sulle strade della Capitale, ad ognuna delle quali quando uno vi cade o rompe la macchina o il motorino, corrisponde un’imprecazione, un voto in meno e spesso anche una causa con tanto di danni prima o dopo risarciti. O la “monnezza” che si spreca, col contorno di topi, cinghiali, cani, gatti e gabbiani. O i cortei quasi giornalieri che la sindaca contribuisce a rovesciare su una città esausta.
Non parlo poi degli inconvenienti che procurano alla sindaca di Roma le risse e le faide interne al suo movimento, dove si sprecano i commissari politici che le vengono assegnati con l’effetto spesso di complicarle la vita e di aggravare i problemi obiettivamente ereditati dalle precedenti amministrazioni.
Pietà, quindi, per la Raggi. Così come avrebbero dovuto invocare gli avversari di Silvio Berlusconi di fronte a certi accanimenti giudiziari praticati dopo che il presidente di Forza Italia, del presidente del Consiglio e di quant’altro già pagava cari i suoi errori comportamentali perdendo voti e parlamentari.