Per governare bisogna anche spiegare bene ai cittadini i provvedimenti che si discutono in Parlamento e non sbatterli nel tritacarne della contesa politica. Non vi è alcun dubbio che il problema dell’immigrazione sia ormai una priorità che attraversa tutti le decisioni politiche soprattutto ora quando le risorse economiche del Paese, ed è stato dimostrato ampiamente da Istat in questi giorni, hanno i rubinetti spalati per ciò che riguarda il nostro debito pubblico e la previdenza.
Dunque ridurre ulteriormente gli sprechi veri (e non solo le auto blu) le spese di consulenza dei ministeri, così come gli apparati burocratici, i compensi di showman a carico dei cittadini, il costo del lavoro per favorire i giovani, spostare la spesa per la formazione sul collegamento istruzione/lavoro, significa investire sul futuro prossimo del nostro Paese. Allora vero è che negli ultimi anni è molto cresciuto il numero di stranieri che ha ottenuto la cittadinanza italiana (202mila nel solo 2016). Molti sono minori, che l’hanno ottenuta grazie all’ art. 14 della legge 91/1992, ma non c’è dubbio che c’è bisogno di nuove disposizioni. Perché si sono accumulati moltissimi adolescenti “italiani senza cittadinanza”. Si sentono italiani, parlano spesso solo l’italiano, non hanno praticamente contatti con il loro Paese di origine.
La cittadinanza è una cosa seria, e proprio per questo non è bene la mancata coincidenza fra status di fatto e status giuridico. La condizione di straniero dà al giovane tutta una serie di seccature e di limitazioni come per andare all’estero (gite scolastiche ad esempio), inoltre il giovane deve rinnovare ogni anno il suo permesso di soggiorno, con la relativa perdita di tempo e di denaro. L’appesantimento burocratico per le questure è enorme e ricordiamoci che la legge del 1992 è stata scritta quando i minori stranieri in Italia erano un numero minimo rispetto a oggi. La parte della politica contraria a questa legge dice che – concedendo con più larghezza la cittadinanza ai bambini e ai giovani – acceleriamo in modo artificiale il processo di integrazione, costruendo integrazione posticcia, addirittura rischiosa, evocando spettri terroristici. Forse invece con questa legge si può favorire l’integrazione vera, perché la cittadinanza non viene affatto concessa in modo incondizionato. Non si tratta affatto di uno ius soli simile a quello degli Usa o del Brasile.
Va infatti ribadito che con questa legge la cittadinanza non viene concessa a chi nasce in Italia “per caso”: quindi non viene concessa ai figli partoriti dalle donne appena arrivate sui barconi; ai bambini stranieri appena arrivati in Italia (sui barconi o in altro modo); ai giovani ritenuti pericolosi per la sicurezza pubblica; ai nati da genitori che non lavorano (condizione necessaria per il permesso di soggiorno permanente); ai giovani che non frequentano con profitto la scuola; se il giovane e/o i suoi genitori non sono in Italia da almeno cinque/sei anni. Da chi scrive dunque questa è considerata una legge equilibrata che se ben applicata può rappresentare per il nostro Paese anche una occasione per i nostri figli e i figli di chi sta in Italia per lavorare e di chi in Italia studia con profitto: e questa deve essere una regola e un valore per tutti.
Passi più incisivi infatti vanno fatti verso la riduzione strutturale della contribuzione per tutti i contratti di lavoro stabili per aiutare l’occupazione giovanile, cominciando dalla legge di bilancio che verrà varata in autunno, da una forte decontribuzione per le assunzioni stabili di giovani: se ci si orienterà verso una riduzione del 50 per cento, poi ridotta all’incirca della metà l’anno successivo, potremo cominciare un percorso che però contemporaneamente rimedi al difetto grave dei servizi di orientamento scolastico e professionale, che non funzionano e materia che è rimasta di competenza delle Regioni. Il problema cruciale consiste nell’informazione, che ai giovani e alle loro famiglie manca, sulle probabilità che ciascuna scuola, facoltà universitaria, o centro di formazione professionale, offrono di una occupazione coerente con la formazione impartita. In assenza di questo servizio, i nostri ragazzi italiani o figli di immigrati compiono le scelte decisive per il loro futuro con la testa nel sacco; e non per colpa loro.