La vicenda di Popolare di Vicenza e Veneto Banca è conclusa, avendo accontentato tutti i giocatori in campo: dai risparmiatori ai dipendenti. Anche il referendum sulla maggiore autonomia per la Regione, già indetto per settembre, è stato sminato. L’effetto finanziario negativo per lo Stato, come differenza tra realizzo dell’attivo della liquidazione degli NPL ed impegni, secondo le previsioni dello stesso governo ammonterebbe in prospettiva pluriennale a poco più di un miliardo di euro. Sembrano previsioni fin troppo rosee, perché intanto, per fronteggiare tutti gli impegni assunti, di soldi ne serviranno assai di più. Le risorse saranno prese a prestito, pagando interessi, a valere sui famosi 20 miliardi di euro di maggior debito pubblico già messo in conto con il decreto legge 237/2016, in vista degli interventi a favore del Monte dei Paschi di Siena.
Facendo un po’ di conti in giro per l’Europa, sul costo cumulato degli interventi pubblici a favore del settore bancario a partire dal 2007, si constata che in termini di deficit pubblico, in Inghilterra è stato di 11,7 miliardi di euro. In Germania si è arrivati a 40,4 miliardi, mentre in Belgio si è trattato di soli 2 miliardi. Solo la Spagna è stata davvero bastonata, con 48 miliardi complessivi, di cui però ben 38 miliardi concentrati nel solo 2012. Lo scorso anno, il costo sul bilancio statale spagnolo è stato di 2,4 miliardi di euro.
In Italia, invece, a fine 2016 siamo arrivati nel complesso ad un deficit cumulato di 2,9 miliardi, con un picco negativo di 3,3 miliardi nel 2015, determinato degli interventi resisi necessari dopo la messa in liquidazione nel dicembre 2015 di quattro piccole banche locali. In precedenza, concedendo la garanzia sovrana alle emissioni obbligazionarie bancarie, portate come collaterale alla Bce, lo Stato ci ha sempre guadagnato. Anche con i Tremonti-Monti bond concessi a Monte dei Paschi, ha tratto ampio profitto: non convertire il prestito in azioni, per farseli rimborsare, fu un tragico errore.
Già a prima vista, si nota che il costo dei salvataggi pubblici tradizionali, tanto ostracizzati, non è stato poi così disastroso. Nelle crisi bancarie, l’intervento pubblico deve essere tempestivo e risolutivo: più si aspetta e peggio è. La Comunicazione della Commissione del 1° agosto 2013 in materia di aiuti di Stato alle banche e la direttiva BRRD si sono dimostrate controproducenti: enfatizzano le crisi invece di smorzarle ed allungano in modo esasperato i tempi di risanamento, aumentandone esponenzialmente i costi. Quando si intuiscono le difficoltà ed inizia la fuga dei depositi, la banca è andata.
Con le nuove regole europee, dapprima la liquidazione delle quattro piccole banche locali ed ora quella delle due banche venete, ha comportato oneri spropositati per le finanze pubbliche. Non si tratta solo di ricapitalizzare una singola banca, ma di assicurare la stabilità dell’intero mercato. Una follia.
Per troppo tempo ci si è arresi ai diktat dell’Antitrust europeo, troppo tardi si è capito che il sistema del bail-in è assolutamente impraticabile. Anche stavolta, alla fine ci si è limitati a intombare nel debito pubblico tutte le perdite ed i costi derivanti dalla ben altrimenti evitabile liquidazione delle banche. Il mercato festeggia: siamo passati dallo Stato banchiere allo Stato becchino.