Dopo anni di presunto raffreddamento, le porte della Blair House, la storica ‘dependance’ dei presidenti americani sulla centralissima Pennsylvania Avenue, si aprono di nuovo. Questa volta per ospitare il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita ufficiale di commiato a Washington da ieri sera fino a sabato mattina. Un caso inusuale, vista la vicinanza della fine del mandato del capo di Stato italiano, ma anche una prova del rispetto del quale gode all’estero Napolitano, il primo dirigente del partito comunista ad avere ricevuto il visto nel 1978.
In un’intervista con Formiche.net, Paolo Magri, direttore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), spiega il perché di questa stima e come l’Italia è tornata al centro dell’interesse (nel bene e nel male) degli Stati Uniti.
Siamo quasi alla fine del mandato del presidente Giorgio Napolitano, com’è il bilancio generale e qual è stato il suo ruolo in un momento di particolare difficoltà per l’immagine dell’Italia all’estero?
Napolitano gode negli Usa, come in altri Paesi, di un’alta stima. Questa è la terza visita negli Stati Uniti. Ed è molto significativo perché Napolitano è stato il primo dirigente del Pci ad ottenere un visto per gli Stati Uniti e, come aveva ricordato proprio il presidente, Kissinger lo aveva nominato ‘il suo comunista preferito’. Questa visita ha un forte valore simbolico e non è usuale visto che Napolitano è in uscita. Ma c’è grande stima e rispetto nei suoi confronti.
Come sono le relazioni tra i due Paesi in questo momento?
I rapporti tra gli Stati Uniti e l’Italia sono privi di tensioni significative. In ambito economico non esprimono però tutte le possibili potenzialità. Come sottolineano da tempo gli ambasciatori americani succedutisi in Italia, i tempi lunghi della nostra giustizia civile e del settore pubblico scoraggiano infatti gli investitori americani.
Quali sono le prospettive dei rapporti dopo le elezioni italiane?
Negli ultimi anni l’Italia è tornata al centro dell’attenzione negli Stati Uniti. C’era una particolare attenzione per l’Europa perché il presidente Obama temeva una crisi europea durante la sua difficile campagna elettorale. Ora Obama è stato rieletto ma ha ancora bisogno – oltre all’Asia – dell’Europa. L’Italia ritorna al centro, assieme alla Germania che voterà in autunno. Le elezioni nei duePpaesi influenzeranno le politiche economiche dell’eurozona ed è pensabile che Obama auspichi un indebolimento della linea del rigore sinora prevalsa. I segnali sono evidenti: la nomina di John Kerry al Dipartimento di Stato, che ha ottimi rapporti con l’Europa, e il discorso sullo stato dell’Unione in cui ha annunciato l’accelerazione per l’accordo di libero scambio tra l’Europa e gli Stati Uniti. L’Italia torna ad essere importante. Gli Usa vogliono che l’Italia torni ad essere autorevole in Europa e che abbia una visione più espansiva, più vicina a quella americana, con l’economia come motore per la crescita.
E nel caso vincesse il Pd, il Pdl o la Lista di Monti? Ci sarebbero dei cambiamenti notevoli?
Gli Usa hanno certamente apprezzato l’azione del governo tecnico di Monti, accolto a Washington dopo un lungo periodo di assenza di esponenti politici italiani di vertice. Non è difficile immaginare un interesse americano a una prosecuzione di questa stagione ma questo non si è però tradotto in segnali espliciti in campagna elettorale.
Il fenomeno di Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle davvero è visto con attenzione negli Usa?
Non mi stupisce che i diplomatici americani lo considerino un fenomeno degno di attenzione. Seguono con attenzione tutti i fenomeni politici nei Paesi dove sono presenti, così come 20 anni fa lo hanno fatto con la Lega. Ma non credo che ci siano aspettative o sdoganamento sul peso, la crescita o il ruolo politico di Grillo nello scenario politico italiano.