Paolo Borsellino beato, indicato dalla Chiesa a testimone fino al martirio, perché ucciso dalla mafia in odio alla fede come don Pino Puglisi? È l’interrogativo rilanciato dal settimanale Miracoli, nel secondo numero in edicola domani diretto da Antonino D’Anna.
IL PARROCO DEL GIUDICE: PAOLO ERA MOSSO DA UNA GIUSTIZIA PIÙ GRANDE
Don Cosimo Scordato, parroco all’Albergheria di Palermo, il giudice antimafia ucciso assieme ai cinque agenti della sua scorta venticinque anni fa in via D’Amelio lo ha conosciuto a fondo. Spiega a Patrizia Carollo: “Per lui in gioco non c’era solo il lavoro del magistrato ma l’interpretazione vissuta della frase del Vangelo di Matteo ‘il vostro parlare sia sì, sì, no, no’. Da qui sgorgava la necessità di scelte radicali e di continuare sulla propria strada fino all’ultimo”. Per il rettore della Chiesa San Francesco Saverio del capoluogo siciliano, la stessa definizione di “martire della giustizia” applicata al magistrato rischia di essere riduttiva: “Il suo non è stato solo un consegnarsi nelle mani dei carnefici, ma soprattutto il credere nella Giustizia con la G maiuscola, che per un cristiano coincide con l’amore”. Nei giorni tra il 23 maggio della strage di Capaci – in cui persero la vita il collega e amico Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti di scorta – e quel 19 luglio 1992 in cui fu ucciso, Borsellino “avrà pregato, magari recitando il Padre Nostro, avrà avvertito in maniera molto più impegnativa la sua missione”, nota don Scordato. Così, se si mettono insieme “la sua vita, la vita dei suoi cari, il suo amore per la famiglia e la decisione di continuare fino alla fine, c’è qualcos’altro che lo ha spinto”. Si vede un impegno per la giustizia, riflette il settimanale diretto da D’Anna, che “non poteva attingere energia e forza se non da Dio”.
LA RICHIESTA ALL’ARCIVESCOVO DI PALERMO
Nell’intraprendere un processo di beatificazione/canonizzazione, per la Chiesa il punto non è solo la discussione sulla personale santità, ma quanto questa appartenenza a Cristo possa essere di esempio per altri. Di santi anonimi per il calendario è talmente certa ne sia però pieno il Paradiso che la Chiesa li festeggia tutti insieme, ogni anno, il primo novembre. Dirimente è se l’esempio di questo o quel cristiano siano figure da indicare a modello per altri. Allora si intraprende il processo. Miracoli pone la domanda su Borsellino all’autorità competente, l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, se si possa o meno avviare la causa di beatificazione. La Chiesa scorge nel magistrato palermitano un testimone fino al martirio come padre Puglisi, anche lui ucciso da Cosa nostra e proclamato beato nel 2013?
SI RIACCENDE IL DIBATTITO
Quello che solleva Miracoli nel 25esimo della strage di via D’Amelio è un interrogativo che si rinnova. Già il cardinale Ersilio Tonini nel 2002 affermava: “La beatificazione del giudice antimafia è più che plausibile. Paolo Borsellino è un modello”. Nel 2011 fu il vescovo di Cefalù, Vincenzo Manzella, ad affermare: “Borsellino ha sacrificato la sua vita per una giusta causa, ecco perché merita la beatificazione”. Perché l’impegno per la giustizia del magistrato era continuamente alimentato da una vita di fede. Consapevole di quanto potesse costare. Tanto che il giorno prima della strage, incontrando un prete al Palazzo di giustizia di Palermo, il giudice lo ferma. Si vuole confessare. Gli dice: “Vedi? Mi sto preparando”. Ricorda don Cesare Rattoballi: “Paolo aveva un senso profondo di ciò che doveva accadere”.
DARE LA VITA PER GLI ALTRI, UNA VIA PER LA SANTITÀ
Se la strada per la beatificazione di un martire ucciso dalla mafia è stata già possibile in passato per padre Puglisi, oggi il diritto della Chiesa ha ulteriori elementi per procedere in maniera ancora più spedita. È dell’11 luglio il motu proprio di Papa Francesco che stabilisce una quarta via per procedere alla beatificazione di un Servo di Dio. Oltre alle tre già stabilite del martirio, delle virtù eroiche e della beatificazione equipollente che, di fatto, è il riconoscimento di un culto antico presso il popolo cristiano, oggi si è aperto alla beatificazione di fedeli che, spinti dalla carità per il prossimo, offrono la propria vita, accettando una morte certa e prematura con l’intento di seguire Gesù. E la carità è un nome della giustizia.
I MAFIOSI VANNO SCOMUNICATI
Nelle parole dei papi la condanna è sempre stata chiara. Basterebbe ricordare il “Convertitevi” gridato ai mafiosi da Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento nel 1993, o la conclamata “incompatibilità con il Vangelo” di Cosa nostra predicata da Benedetto XVI, che a Palermo ha indicato ai giovani l’esempio di un altro magistrato antimafia, Rosario Livatino, ucciso dalla Stidda, per il quale il processo di beatificazione è in corso. Non di meno Francesco, che per i mafiosi sta studiando la possibilità della scomunica, sancendone anche in punto di diritto l’esclusione dalla comunione ecclesiale.