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Perché la mossa di Trump in Siria è un avallo all’azione di Putin

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Un’imprevista mossa americana nella guerra civile siriana sembra delineare il definitivo successo della strategia russa. L’amministrazione Trump, rivela il Washington Post che ha ascoltato due anonimi funzionari di alto rango del governo Usa, ha deciso di porre termine al programma segreto di sostegno militare ai ribelli moderati posto in essere dalla precedente amministrazione nel 2013. La decisione, dichiarano i due funzionari, è stata presa nell’ottica di lanciare un preciso messaggio a Mosca: in Siria avete vinto voi, ora ci rendiamo disponibili a gestire la fase successiva del conflitto in stretto coordinamento con voi.

Se la ricostruzione del Wapo si rivelasse veritiera, sarebbe un duro colpo per il variegato fronte anti-Assad, oltre a suggellare un deciso cambio di fronte della già nebulosa strategia Usa. Significherebbe il definitivo venir meno della speranza di porre fine al regime di Assad, al cui fianco si è sempre schierata Mosca, e assegnare al Cremlino il ruolo di power-broker nel paese piagato da oltre sei anni di conflitto. In altre parole, sarebbe il definitivo sigillo della vittoria russa e dei suoi alleati in Siria, e la sconfitta di tutti coloro, Usa inclusi, che hanno perseguito in questi anni un cambio di regime a Damasco.

La manovra Usa in ogni caso non fa che ratificare la situazione sul terreno. Dopo la dura sconfitta subita ad Aleppo nel dicembre scorso, i ribelli controllano porzioni sempre più limitate di territorio, mentre i governativi spalleggiati da Russia, Iran ed Hezbollah procedono verso l’obiettivo dichiarato dal presidente siriano Bashar al Assad: riconquistare “ogni centimetro quadrato” del paese. È un risultato che era impensabile fino a due anni fa, quando l’intervento russo ha mutato radicalmente la situazione, permettendo alle sorti di Assad di risollevarsi e facendo di Mosca la potenza dominante sul terreno.

Il ruolo crescente della Russia è evidente anche dai colloqui di pace in corso. Al fallimentare negoziato di Ginevra, Mosca ha fatto subentrare un proprio ciclo di colloqui, quello di Astana, che ha già condotto a risultati tangibili in termini di riduzione della violenza. Ad Astana è stata stabilita l’instaurazione di una serie di “de-confliction zones” in cui la tregua tra governo ed opposizioni sta sostanzialmente tenendo. Dopo il faccia a faccia tra Putin e Trump al G-20 di Amburgo del 7 luglio, anche gli Stati Uniti sono entrati a far parte dello schema disegnato dal Cremlino, divenendo garanti di una safe zone nelle province sud-occidentali della Siria. Qualcuno, nella stampa americana, sospetta che il secondo colloquio Trump-Putin ad Amburgo divenuto di dominio pubblico solo in questi giorni sia servito soprattutto a definire i dettagli di questa nuova collaborazione russo-americana in Siria.

Resta da capire, in ogni caso, quali siano le reali intenzioni americane nella mossa a sorpresa rivelata dal Post, e soprattutto cosa gli Usa ne possano ricavare. Stante la probabile volontà di Trump di perseguire un disgelo con Mosca, preludio a ipotetiche collaborazioni su più fronti (lotta all’Isis, Ucraina, Nord Corea), il suo comportamento potrebbe apparire razionale, oltre che in linea con quanto reiteratamente dichiarato in campagna elettorale. Certo è che la sua ultima decisione avrà turbato non poco gli alleati arabi, ancora ostili ad ogni soluzione dell’intrigo siriano che contempli il mantenimento al potere di Assad. Inoltre, il suo tempismo stride non poco con la recente intensificazione del Russiagate, prestando il fianco alla critica di chi vede Trump colluso col Cremlino.



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