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Cosa si progetta in Parlamento sulle pensioni

Di Stefano Biasioli e Ennio Orsini
Boeri

Nelle scorse settimane indiscrezioni trapelate dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati hanno reso pubblica l’esistenza di due proposte di legge costituzionali miranti a modificare l’articolo 38 della Costituzione, che stabilisce, com’è noto, che “ai lavoratori siano assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

Si tratta delle proposte C 3478, avente come primo firmatario l’onorevole Mazziotti di Celso di Civici e Innovatori – presentata il 4 dicembre 2015 – e C3858, recante come primo firmatario l’onorevole Preziosi, parimenti appartenente al Partito democratico, presentata il 25 maggio 2016.

Più in dettaglio, la proposta dell’onorevole Mazziotti di Celso (C3478), sostituendo interamente il quarto comma dell’articolo 38, stabilisce che gli obblighi per gli organi e gli istituti preposti debbano essere adempiuti secondo princìpi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra generazioni.

La proposta dell’onorevole Preziosi (C3858) si spinge oltre, aggiungendo addirittura all’articolo 38 un nuovo comma che dispone che il sistema previdenziale debba essere improntato ad assicurare l’adeguatezza dei trattamenti, la solidarietà e l’equità tra le generazioni, nonché la sostenibilità finanziaria.

Il principio di solidarietà, che la proposta di legge indica debba svilupparsi all’interno e nell’ambito del sistema previdenziale per realizzare le richiamate istanze di equità, presuppone, per definizione, trasferimenti di risorse dall’una all’altra categoria di pensionati.

È lecito, a questo punto, cercare di capire quali sarebbero i destinatari dei provvedimenti proposti. Chi, in definitiva, verrebbe premiato, conseguendo un aumento dell’emolumento, e chi, al contrario, ne pagherebbe i costi, subendo una riduzione.

È evidente che verrebbero avvantaggiati tutti quei soggetti la cui contribuzione, per consistenza e/o durata , dà luogo o darà luogo a trattamenti di modesto valore, destinatari, cioé, di interventi di natura chiaramente assistenziale, il cui onere compete alla fiscalità generale.

Meno chiaro è, al contrario, quali pensioni si dovrebbero penalizzare per recuperare le risorse necessarie ad effettuare gli interventi assistenziali che i  proponenti intendono realizzare. A questo riguardo la proposta di legge non fornisce indicazioni, limitandosi ad affermazioni di principio di carattere assolutamente generale.

Sul tema diversi politici si sono, in questi mesi, prodotti in esternazioni mediatiche,individuando limiti di reddito diversi. Al riguardo la presa di posizione più recente è da attribuirsi al commissario alla spending review, Yoram Gutgeld, già consigliere economico del governo Renzi, che individua, in un’intervista apparsa sul Corriere della Sera del 17 giugno scorso, il limite di 2000 euro mensili lordi (pari a circa 1500 euro mensili netti) come valore al di sopra del quale procedere a prelievi forzosi a scopo solidaristico.

Ove si decidesse di adottare tale limite, la platea dei pensionati candidati ai tagli raggiungerebbe i 2,5 milioni di titolari di trattamenti Inps.

A costoro, se la modifica dell’articolo 38 dovesse venire approvata, nella corrente o, più probabilmente, nella prossima legislatura, verrebbe a mancare, per il futuro, ogni certezza sul proprio reddito pensionistico che, secondo la proposta di legge, verrebbe ridotto direttamente dall’Inps, secondo modalità e tempistiche non note, per ricavare le risorse necessarie a far fronte alle necessità assistenziali via via emergenti.

Per essi il prelievo proposto verrebbe ad aggiungersi a quello fiscale, che va ricordato, per i pensionati italiani è il più elevato di tutti i Paesi europei. Si intende prevedere per questi pensionati, già sottoposti alle ritenute fiscali più alte d’Europa, l’introduzione di un doppio regime di prelievo, l’uno, quello fiscale, condiviso con tutti gli altri cittadini – nel rispetto delle indicazioni contenute nell’articolo 53 della Costituzione – e un secondo – ad essi esclusivamente riservato – interno al circuito previdenziale, che dovrebbe agire, nell’intenzione dei deputati proponenti, in totale spregio dell’articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di eguaglianza tra i cittadini.

Alla sua modifica gli estensori del disegno di legge dovrebbero parimenti applicarsi, proponendo, magari, l’esclusione dal diritto limitatamente ai soli  pensionati Inps. I tempi sono maturi. (Ovviamente si tratta di un inciso ironico).

Anziché separare completamente, nel bilancio e nella prassi Inps, la gestione della previdenza e dell’assistenza, come da anni raccomandato da economisti, sindacalisti e analisti, si sta invece progettando di porre i costi della assistenza a carico dei pensionati attuali e di quelli  futuri.

Sulle loro pensioni e sui contributi versati, i proponenti vorrebbero procedere ad una sorta di esproprio condotto sulla base di un generico principio di solidarietà, forse appena temperato da un ancora più generico richiamo alla ragionevolezza, la cui applicazione sarebbe comunque affidata alla totale discrezionalità del Parlamento e dell’Inps, il cui presidente Boeri si è a più riprese cimentato, in questi anni, in fantasiose quanto improbabili proposte di redistribuzione da effettuarsi nell’ambito delle pensioni in godimento, proposte tutte peraltro assai opinabili sotto il profilo della legittimità costituzionale.

Vengono contemporaneamente sollevate ed assolte da ogni partecipazione ai pretesi principi di solidarietà tutte le altre categorie di reddito (dipendenti, libero professionisti, pensionati non pubblici), in totale spregio delle istanze di equità tra i cittadini e contribuenti pur chiaramente previste dagli articoli 3 e 53 della Costituzione.

Nonostante le ripetute sollecitazioni – provenienti da ampi settori della società – a procedere alla immediata separazione delle gestioni della previdenza e della assistenza al fine di introdurre, dopo decenni, doverosi elementi di chiarezza sui costi e sui bilanci dell’una e dell’altra, una certa politica sta cavalcando il disagio sociale, provocato dalla crisi prolungata, per forzare la situazione, esattamente in direzione opposta.

Si mira  a confondere le due gestioni (pevidenziale e assistenziale) fino a omogeneizzare completamente le pensioni sostenute da contribuzione con quelle sociali, di natura puramente assistenziale, alle quali non corrisponde adeguata o alcuna contribuzione.

Un ampio settore della politica (tra cui i proponenti dei 2 Ddl citati e il bocconiano Boeri, tra tutti) si propone di modificare il concetto stesso di pensione e la sua percezione sociale, trasformandola da assicurazione per la vecchiaia – quale era originariamente e qual’è in tutti i Paesi occidentali –  a mera erogazione di un beneficio economico, comunque dovuto in caso di vecchiaia, indipendentemente dal versamento di contributi. Si pongono intenzionalmente le premesse per provocare un graduale travaso di risorse dalle pensioni contributive a quelle assistenziali ed il parallelo appiattimento delle prime sulle seconde.

Le norme proposte vanno in questa direzione e costituiscono fondato motivo di preoccupazione per milioni di pensionati che hanno versato contributi in misura onerosa per tutta la durata della vita lavorativa e per almeno altrettanti altri italiani, non ancora in quiescenza, che confidano – avendo versato i contributi “dovuti ” per decenni di lavoro – di poter disporre/ottenere, alla fine, una pensione almeno corrispondente ai suddetti versamenti.

Ma, oggi, in Italia non ci sono più certezze assolute. Manca il lavoro, mancano i contributi da lavoro, aumentano le spese assistenziali (non coperte da tasse o da finanziamenti ad hoc) e allora che si è fatto e cosa si farà ? Si sono chiesti e si chiedono (Letta-Renzi-Gentiloni)  contributi per centinaia di milioni di euro ai pensionati (mancata rivalutazione delle pensioni e contributi di solidarietà), si tassano le pensioni con percentuali nettamente superiori alla media Ue, si crea incertezza tra i pensionati presenti e futuri, con dichiarazioni “fantasiose” (Boeri) e con proposte di modifica costituzionale indegne di aggettivazione “seria”.

Quaero et non invenio: meliora tempora! (Diogene)



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