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Così giornali e intellò della sinistra scoprono “la questione demografica” in Europa

Massimo Gramellini

La demografia? Guai a parlarne. Negli ultimi decenni è sempre stata questa la linea dominante sui media italiani. C’entrano forse le reminiscenze del fascismo, con la sua battaglia demografica degli anni 30 dello scorso secolo a suon di tassa sul celibato e slogan tipo “il numero è potenza!”. O forse è colpa dello scarso interesse per un fenomeno sociale che per essere affrontato richiede un minimo di applicazione e di studio, e perfino l’analisi di qualche dato statistico. Certo è che tranne illuminate eccezioni – come quella costituita dal giornalista e saggista del Foglio Giulio Meotti, o quella del demografo e divulgatore di Avvenire Gian Carlo Blangiardo – in Italia si è dibattuto ben poco di culle e dintorni. Perlomeno tra il grande pubblico.

Gli addetti ai lavori invece compulsano eccome, e da anni ormai, i dati su nascite, morti e invecchiamento nel nostro continente. Ecco alcuni di questi dati, in sintesi. Nel 2015, nell’Unione europea, sono nati 5,1 milioni di bambini: una media, dunque, di 10 neonati ogni 1.000 persone. Nel 2000 il dato era appena superiore, 10,6 neonati ogni 1.000, ma il crollo rispetto agli anni precedenti è evidente: nel 1985 in Europa c’erano 12,8 neonati ogni 1.000 persone e nel 1970 ce n’erano 16,3 ogni 1.000. D’altronde nel 2015, secondo gli ultimi dati di Eurostat, il tasso di fecondità nell’Unione europea è stato pari a 1,58 per donna; ma servono 2 figli per ogni donna se una popolazione vuole quantomeno continuare a esistere nelle sue attuali dimensioni. In Italia l’autunno demografico è ben inoltrato: nel 2015 il nostro paese ha raggiunto il livello minimo di nascite della sua storia recente, con 486mila nascite a fronte di 648mila decessi. Poi però nel 2016, ecco che quel record (negativo) è stato subito battuto: soltanto 474mila i nati dello scorso anno nel nostro paese, a fronte di 608mila decessi. In Italia la fecondità totale è scesa a 1,34 figli per donna, sotto la media europea (1,58) e ben distante dalla soglia minima per la continuazione della specie (2,1).

Eppure finora i principali intellettuali pubblici italiani avevano preso il tema sottogamba. Salvo ora iniziare a svegliarsi. Con motivazioni e analisi anche molto diverse fra loro, intendiamoci. Bernardo Valli, firma storica di Repubblica, sull’ultimo numero dell’Espresso, ha scritto un editoriale così intitolato: “Se domani finiscono i tedeschi”. “Finiscono”, nel senso letterale del termine, cioè “scompaiono”. Ecco le previsioni citate da Valli: “Nel prossimo mezzo secolo la Germania conterà più di sessantaquattro milioni di morti e meno di quaranta milioni di nascite. Se persistono i tassi di fertilità (1,3 per donna nel 2016 contro il 2,1 necessario per mantenere stabile la popolazione) entro il 2080 può scomparire una quota di abitanti equivalente a quella della Germania dell’Est, un tempo comunista. Agli ottantuno milioni di oggi a livello nazionale se ne dovranno sottrarre ventiquattro. Vale a dire l’equivalente delle popolazioni, assieme, delle cinque principali città del paese”. Uno scenario spaventevole.

Occorrono più nascite in Germania e in Europa, dunque? No, per Valli la soluzione al collasso demografico già l’abbiamo trovata, ed è costituita dalla “simultanea ondata di migranti” che “si abbatte sulle nostre coste” e che “potrebbe apparire un fenomeno compensativo, qualcosa di simile a un soccorso provvidenziale destinato a colmare i vuoti umani che si stanno scavando”. Soccorso “provvidenziale”, dunque, anche se lo stesso giornalista poco dopo è costretto a scrivere che “una decimazione della popolazione” è “contenibile, meglio attenuabile, con una forte immigrazione”.

L’allarme demografico, dopo il gruppo Espresso, contagia anche il Fatto quotidiano, il quotidiano più vicino ai grillini diretto da Marco Travaglio. A scriverne è l’anarchica penna di Massimo Fini, in un articolo intitolato “L’uomo è diventato un barboncino (che non figlia più)”. La considerazione di partenza è che quest’anno, per la prima volta, in Italia l’indicatore di fecondità è inferiore al Sud (1,29) rispetto al Nord (1,38). Cambiano gli atteggiamenti di entrambi i sessi nei confronti della natalità. Per esempio, scrive Fini, “molte donne non desiderano più avere figli. Ci sono anche, certamente, ragioni economiche e di carriera. Se una donna è arrivata, con grande fatica, al livello di top manager rilutta a figliare perché sa che se lo facesse quando rientrerà in azienda manterrà il suo grado e il suo stipendio ma si troverà inevitabilmente sorpassata da quelle che nel frattempo l’hanno sostituita. Ma la questione della carriera è solo una parte del discorso. Ci sono donne, molte, che, scardinando una funzione antropologica che inizia con la comparsa dell’essere umano sulla terra, non vogliono avere figli, punto e basta. Preferiscono indirizzare la loro creatività altrove. Lo dice senza mezzi termini Ida Dominijanni giornalista e filosofa: ‘Abbiamo fatto bene a non fare figli perché abbiamo messo al mondo dell’altro’. Sarà”.

Tuttavia la svolta più interessante è quella di Massimo Gramellini, neo editorialista del Corriere della Sera. La scorsa settimana, sulla prima pagina di quello che è per eccellenza il quotidiano della borghesia italiana, l’articolo di fondo firmato da Gramellini era così intitolato: “Non facciamo più figli nel mondo occidentale”. L’autore – già braccio sinistro di Fabio Fazio su Rai3, intellò coccolato tanto dalla gauche catodica quanto dai lettori Feltrinelli-style – ribalta in maniera sorprendente la tesi vetero-marxista per cui se gli occidentali fanno meno figli ciò è imputabile esclusivamente alle difficoltà economiche che le nostre società attraversano. Una tesi debole, non foss’altro perché gli italiani e gli europei facevano molti più figli quando avevano un reddito pro-capite molto più contenuto. Eppure si tratta di una tesi a lungo rimasta cara alla sinistra e anche a spezzoni del mondo cattolico. Gramellini adesso però scrive che “potrebbe esserci anche dell’altro”: “La scomparsa del senso di missione che ogni civiltà reca con sé. Come se l’Occidente sentisse di avere esaurito il suo ciclo bimillenario e fosse diventato meno fertile perché si è rassegnato all’idea di dovere passare la mano. In un saggio di Robert Kaplan intitolato Monsoon si profetizza un futuro prossimo in cui le due potenze mondiali saranno Cina e India e dove proprio a quest’ultima toccherà il compito di portare avanti la fiaccola della civiltà occidentale che i nostri spermatozoi dimezzati stanno spegnendo nel disinteresse di tutti. Chissà che cominciare a parlarne non riattizzi un po’ il fuoco”. Chapeau a Gramellini e a quella parte di ceto mediatico che – seppure in ritardo – scopre la questione demografica, con tutti i suoi risvolti economici e culturali.



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