La legge sulla Concorrenza, approvata mercoledì 2 in via definitiva dal Senato (dopo più di 900 giorni di dibattito), è lontana anni luce dalle liberalizzazioni selvagge delle lenzuolate di Visco e Bersani del 2006. Allora si tentò di aprire la strada a realtà industriali e bancarie che avevano visto nel settore una promettente opportunità d’investimento. Oggi siamo di fronte a misure discusse con i diretti interessati, il cui scopo è consentire lo sviluppo degli studi professionali e un loro adeguamento alle esigenze del contesto economico e tecnologico.
Ciononostante, non sono mancate le reazioni contrarie di alcune componenti del mondo delle professioni, come è ovvio che avvenga quando si intaccano delicati equilibri e interessi consolidati. Non c’è dubbio che i soggetti più toccati siano gli avvocati. Oltre a disposizioni comuni ad altre professioni, come l’obbligo di comunicare ai clienti la prevedibile complessità della prestazione con un preventivo dettagliato e in forma scritta, i legali (e in modo diverso anche i farmacisti) hanno visto l’introduzione nella professione legale di società di persone, di capitale o di cooperative, con possibilità di coinvolgere anche professionisti diversi e soci di capitale, che però non potranno avere più di un terzo dei diritti di voto.
Una svolta storica per l’avvocatura, che spiega la reazione contraria di una parte di questo mondo, compreso il Consiglio nazionale forense. Una riforma maturata dopo un dibattito durato più di dieci anni, potenzialmente in grado di segnare l’anno zero della professione, insieme al declino dell’avvocatura come professione liberale e della classica impostazione dello studio unipersonale (con eventuali collaboratori). L’obiettivo è proprio accelerare la trasformazione degli studi in realtà imprenditoriali complesse ma più aderenti alle esigenze delle imprese. Gli studi associati, anche tra professioni diverse, erano in realtà già utilizzati in varie forme da molto tempo.
Ma con la legge sulla concorrenza si introducono importanti stimoli in questa direzione, come l’introduzione del socio di capitale e la possibilità, per il singolo professionista, di partecipare a studi diversi. Spingevano in questa direzione le esigenze delle imprese, sempre meno interessate alla consulenza (a caro prezzo) dell’avvocato di grido e sempre più a un servizio accurato, completo, strutturato, affidabile ed economico. Non solo. L’ingresso prepotente dell’informatica nel mondo dei legali costringe gli studi a importanti adeguamenti tecnologici e di mentalità, spingendo verso la costruzione di realtà associative più complesse ed efficienti.
Il socio di capitali può essere la chiave per sviluppare nuove strutture o evolvere quelle più tradizionali. Ma il finanziatore non è un benefattore. Il suo obiettivo è massimizzare la redditività del capitale investito: anche questo è destinato a incentivare la trasformazione degli studi in realtà sempre più imprenditoriali. Di fatto, anche nel mondo forense, è aperta la strada per la spersonalizzazione dell’attività, impostazione già molto presente in altre realtà professionali: da qui i timori di parte dell’avvocatura, che teme di perdere la libertà di cui ha sempre goduto, paventando la trasformazione dell’avvocato in lavoratore dipendente. E in effetti non c’è dubbio che la legge sulla concorrenza tolga gli ostacoli maggiori allo sviluppo dello studio-impresa.
(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)