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Chi vince e chi perde nel (fanta) confronto tv tra Monti, Bersani, Berlusconi & Co.

Si incrociano nei corridoi degli studi tv, come è successo oggi tra Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani intervistati da Corriere tv, ma insieme davanti alla telecamera non li vedremo mai. Il confronto televisivo tra i candidati alle elezioni alla fine non si farà. E tra le polemiche su chi ci avrebbe guadagnato o perso di più, alla fine la risposta è che a perderci sono soprattutto gli italiani. E la democrazia. E’ di questo parere Gianluca Giansante, consulente e digital strategist, che a Formiche.net spiega: “Non viene data agli elettori la possibilità di conoscere le idee di tutti, di vedere confrontarsi i vari attori in campo. Di fronte a un pubblico non ideologico, il contradditorio avrebbe permesso di verificare con più facilità i fatti, anche attraverso il nuovo interessante strumento del fact-checking. E poi avrebbe sviluppato interesse, nuova linfa per la politica da parte dei cittadini, un po’ come è avvenuto con le primarie del centro-sinistra”.

Tra i politici, chi ci perde di più da questo mancato confronto?

“Ci perde soprattutto Mario Monti perché avrebbe potuto rivendicare i dati positivi ottenuti dal suo governo e addossare un po’ di colpe a Bersani e Berlusconi. Il Professore sarebbe apparso più forte perché percepito come nuovo rispetto agli altri protagonisti in campo. E poi avrebbe avvantaggiato i partiti minori come quello di Antonio Ingroia, dando loro un po’ di visibilità che da soli non hanno”.

Il caso di non confronto elettorale in tv in Italia è un unicum tra i Paesi occidentali?

“Diciamo che è una caratteristica tutta italiana rispetto alle altre democrazie avanzate. Non è la prima volta che accade: anche nel 2008 non ci furono duelli tv. Berlusconi non lo concesse a Walter Veltroni perché era avanti nei sondaggi. Il dibattito sfavorisce chi è avanti perché lo rimette in discussione davanti agli altri candidati. È l’effetto che gli studiosi della comunicazione chiamano ‘band wagon’: chi non ha un’ideologia politica forte, tende a votare il partito che è percepito come vincente. Ciò si basa sul fatto psicologico che le persone non vogliono sentirsi in minoranza”.

Ha ragione Monti a dire che Berlusconi fugge dal confronto tv perché ha paura di lui?

“Non credo che abbia paura del contradditorio, ma è una questione di strategia. Il leader del Pdl preferisce un dibattito a due con Bersani perché è un modo per affermare che sono loro i candidati in lizza per Palazzo Chigi e quindi anche lui ha chance di vincere. Sfrutta così la tesi del voto utile, si impone come unica scelta ragionevole per i moderati perché unica con possibilità di vittoria, togliendo voti dallo stesso bacino di elettori di Monti”.

E Bersani perché vuole un confronto con tutti i candidati?

“Per il motivo speculare. Se partecipasse solo con Berlusconi, avvallerebbe il fatto che il leader del Pdl può spuntarla. E poi il Cavaliere ha maggiore padronanza del mezzo, la forza di Bersani non deriva dalla tv ma dal consenso popolare, dalla partecipazione ottenuta grazie alle primarie. Allo stesso modo, un dibattito a tre direbbe ai cittadini che ci sono tre opzioni più probabili mentre con tutti i candidati l’effetto si attenua”.

Ma è normale questo mercanteggiare dei format del confronto in base ai voleri dei politici?

“No, per esempio in Gran Bretagna il format è sempre lo stesso, a tre, perché i confronti sono consolidati. In Italia no, quindi trovano spazio gli interessi dell’uno o dell’altro politico. Ed è per questo che qui non ci si scandalizza più di tanto se i dibattiti non si fanno”.

Fa bene Beppe Grillo a scegliere di rimanere fuori dal piccolo schermo?

“In realtà ci entra tutti i giorni anche se non attivamente. È la stessa strategia che utilizzò la Lega: non apparire nei salotti, al massimo solo in collegamento, per non essere assimilati tra chi fa il politico di mestiere. È una mossa politica, non solo di comunicazione. E poi certo un ipotetico confronto avrebbe danneggiato il leader del M5S, gli sarebbero state poste domande scomode, come sulla politica estera su cui non sembra preparato”.



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