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E-bike, Europa pronta alla disfida con la Cina

Una pedalata – anche assistita – allunga la vita. Peccato che il mercato delle bici elettriche, nuova frontiera della green economy e della sostenibilità ambientale, sia praticamente in mano alla Cina e alle sue aziende statali. La denuncia arriva dai produttori di e-bike europei: si è passati da un livello minimo d’importazione del 2010 agli oltre 800mila pezzi importati appena lo scorso anno. Una vera e propria invasione di bici elettriche cinesi vendute a costi molto inferiori di quelle di produzione, perfino del 70%, che rischia di mettere in ginocchio un intero comparto che ha puntato molto sulla moda della bicicletta elettrica. Insomma, come il doping per il ciclismo: difficile gareggiare con un mercato così drogato.

UN DAZIO CONTRO IL DUMPING O SARÀ LA FINE

D’altra parte la Cina è nell’immaginario collettivo il paese delle biciclette. E, spesso, del dumping sistematico sui prezzi: una strategia utilizzata per conquistare quote di mercato spazzando via la concorrenza. Un’accoppiata – bici più dumping – che potrebbe avere effetti devastanti sull’industria italiana ed europea del settore. Come è già accaduto per il tessile o altri comparti della meccanica di precisione come rubinetteria e valvolame. Per questo Moreno Fioravanti (nella foto), segretario generale dell’Associazione Europea dei produttori di biciclette, ha reclamato un impegno attivo di Bruxelles per contrastare questo fenomeno di cui nessuno parla. Nel 2016, secondo l’Associazione, le e-bikes prodotte in Cina rappresentavano il 70% del mercato europeo. Nei primi sette mesi di quest’anno, il volume di importazioni avrebbe già superato quello dello scorso anno. Ricordando che i produttori europei nel 2016 hanno investito 1 miliardo di euro nello sviluppo di biciclette elettroniche e sono all’origine delle più recenti innovazioni nel settore, Fioravanti ha chiesto alla Commissione di registrare le importazioni, di adottare misure anti-dumping urgenti e di indagare su pratiche commerciali scorrette da parte di esportatori cinesi di e-bikes. Altrimenti “sarà la fine”.

EUROPA TORNATA AD INVESTIRE NELLE DUE RUOTE

Tutto questo mentre bisogna registrare come il mercato delle due ruote europeo è uno dei pochi attivi e in crescita. In campo ci sono aziende come Bosch che fabbrica i motori elettrici in Ungheria, quelli Brose fatti in Germania e anche le celle (i componenti interni delle batterie) vengono prodotti in terra tedesca dalla BMZ. E non basta: la francese Hutchinson ha investito su un grande stabilimento produttivo a 100 km da Parigi mentre la società spagnola Orbea ha modernizzato la produzione e la gestione logistica in terra iberica. Anche l’Italia non è rimasta a guardare. Basti pensare che nel maggio scorso è stata battezzata la nuova FIVE (Fabbrica Italiana Veicoli Elettrici) uno stabilimento industriale vicino Bologna in grado di produrre, a regime, 35mila veicoli elettrici all’anno, principalmente per il momento bici a pedalata assistita dei marchi Wayel e Hinerg. Con il nostro governo pronto a sostenere l’iniziativa e il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti che ha giustamente rimarcato un concetto: “la green economy non è ‘solo’ un modo per fare del bene all’ambiente, ma anche giusta occasione di profitto per chi ha la lungimiranza di investire nel settore. E il recente aumento delle vendite di bici a pedalata assistita sta lì a confermarlo”.

QUANTO VALE E-BIKE IN ITALIA

D’altra parte la bici elettrica oggi in Italia non è più un corpo estraneo della due ruote a pedali. Anzi, è la tipologia che ha tenuto in piedi il mercato italiano del ciclo lo scorso anno, con una crescita del 120%, in base a quanto certificato dall’Associazione Nazionale del Motociclo (Ancma) per un totale di 124.500 pezzi venduti, quasi il 10% del totale. Nel settore della bici elettrica operano in particolare 250 produttori e 12mila addetti fra diretti e indiretti. Costruttori ricordiamolo che sono un vanto per l’Italia a livello internazionale: De Rosa, Colnago, Pinarello e componentisti come Campagnolo. Preoccupati adesso che a fronte dei loro investimenti tutto possa andare a gambe per aria perché c’è poco da essere competitivi se una bici elettrica cinese arriva a costare anche il 70% in meno rispetto a quelle prodotte in Europa.

Ecco perché bisogna fermare l’invasione cinese nelle e-bike. Come si scelse nel 1991: imporre un dazio all’importazione per salvaguardare la produzione delle due ruote. All’epoca la Commissione ebbe coraggio e adottò una misura che imponeva un rincaro del 48,5% all’import di bici e componentistica proveniente dalla Cina. Il dazio più “vecchio” imposto da Bruxelles – in scadenza nel marzo 2019 – ha permesso al settore di non essere spazzato via dalle vendite sottocosto dell’ex celeste impero. L’antidumping come unico sasso che Davide può usare contro il Golia cinese.

“In 20 anni, da quando esiste il dazio antidumping sulle bici in Europa – ha spiegato Fioravanti – abbiamo sviluppato il comparto di quella elettrica. Prima saldavamo tubi e montavamo telai. Oggi la lavorazione è tutta orizzontale. Il dazio ci ha spinto a ripensare la nostra politica industriale e di prodotto”. Solo che nessuno pensava che i cinesi avrebbero invaso anche questo comparto e in un modo così repentino. Per questo l’Europa si di deve svegliare. E pedalare anche veloce perché l’azione predatoria messa in atto da Pechino potrebbe lasciare per strada uno dei settori più energici del nostro made in Italy.


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