Che cos’è più democratico: consentire ai governanti della Catalogna di indire un referendum illegale -così l’ha dichiarato la Corte Costituzionale- per chiedere a una minoranza di indipendentisti di staccarsi dalla Spagna? Oppure inviare la polizia da Madrid per impedire anche fisicamente di votare a chi vorrebbe esercitare in modo pacifico un pur inesistente diritto alla secessione?
Comunque si guardi allo scontro istituzionale e politico senza precedenti che si sta consumando in uno dei Paesi più europeisti dell’Unione, vien da dire: com’è difficile, oggi, garantire i diritti di tutti senza comprendere che la democrazia presuppone pure dei doveri.
Da parte dello Stato, innanzitutto, che ha il compito dell’efficienza, per esempio. Di un fisco non oppressivo con i cittadini e severo con gli evasori. Di una giustizia rapida e di una sicurezza vera. Di una politica equa sul lavoro, rigorosa e lungimirante sull’immigrazione.
Di solito, sono questi i grandi rimproveri che le comunità locali, non importa se piccole o grandi, rivolgono con rabbia o amarezza alle loro lontane capitali. Da ciò nascono le richieste di autonomie, che sono un proficuo braccio di ferro quando si svolgono all’insegna della leale collaborazione. Ci guadagnano tutti: lo Stato perché delega responsabilità a chi può più direttamente esercitarle, e risponderne, sul territorio. E il territorio perché sa di poter contare sulla forza della doppia appartenenza: il Comune o la Regione e la Repubblica. L’unità nella diversità, l’Italia delle sue cento e meravigliose città.
Ma in Catalogna s’è rotta proprio questa consapevolezza che sono i ponti, mai i muri, a far crescere le economie e le identità. Che il catalano è bello accanto, ma non al posto della lingua spagnola. Che Barcellona gode di una libertà costituzionalmente tutelata, grazie alla quale dalle Olimpiadi del 1992 è diventata non soltanto una gioiosa città iberica, ma anche un attrattivo e frequentato luogo dell’universo.
E allora l’idea di strappare unilateralmente l’unità nazionale violando principi legali e costituzionali, e di farlo non in nome di una maggioranza oppressa dalla dittatura (Franco è morto nel 1975), bensì di una minoranza libera e benestante, ha poco da spartire con il conflitto istituzionale che in ogni parte del mondo sempre si registra fra lo Stato e le sue entità. Diritti e doveri, consenso e condivisione, rispetto delle leggi e della Costituzione: è la democrazia, bellezza.
(Articolo pubblicato da L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratti dal sito www.federicoguiglia.com)