La via emiliana verso l’autonomia regionale ha fatto un altro passo in avanti. Sfruttando l’articolo 116 della Costituzione – “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (…) possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali (…). La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata” – l’Emilia Romagna ha giocato la carta assembleare. Un percorso inedito, tentato per prima in Italia – la Lombardia con Formigoni ci pensò per un attimo -, una modalità più “soft” rispetto a quelle dei vicini Veneto e Lombardia, che pretendono il coinvolgimento popolare attraverso la consultazione referendaria, tenuta il 22 ottobre. Un modello che il governatore della Puglia Michele Emiliano intende imitare.
La regione Emilia-Romagna vuole gestire direttamente, e con risorse certe, quattro materie fondamentali come lavoro e formazione; imprese, ricerca e sviluppo; sanità; governo del territorio-ambiente. E per farlo non indirà alcun referendum: è bastato, dopo un periodo di concertazione con le categorie economiche e i sindacati portato avanti in estate, il voto dell’Assemblea regionale. Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il presidente della Regione Stefano Bonaccini hanno firmato nei giorni scorsi a Palazzo Chigi (come si vede nella foto) una dichiarazione di intenti che formalizza l’avvio del percorso. Il governo darà corso a tal proposito, che ora verrà vagliato dalle Camere. “Le materie interessate – si legge nell’atto – saranno oggetto di ogni necessaria valutazione, da compiere anche in forma bilaterale, in modo da perseguire un esito positivo sia per la Regione sia per l’ordinamento repubblicano sia, soprattutto, nell’interesse del Paese”. Bonaccini è soddisfatto. “La dichiarazione di intenti che abbiamo firmato – ha dichiarato – è per noi motivo di grande orgoglio e dimostra la volontà del Governo di prendere sul serio la nostra richiesta. Credo sia giusto premiare le Regioni virtuose, con i conti in ordine e un alto tasso di efficienza nei servizi forniti”.
“L’unità nazionale – precisa Bonaccini – per noi è sacra e intoccabile, e non stiamo chiedendo di diventare una nuova regione a statuto speciale. E a chi chiede addirittura di dividere la nostra regione, creandone due separate, dico che noi non diciamo no alla Romagna, ma diciamo sì all’Emilia-Romagna, perché insieme, in una regione unita e fatta di valori e saperi unici, non temiamo nessuno fra la aree più avanzate in Europa e nel Mondo”. I più critici sostengono che Bonaccini stia solamente inseguendo consenso abbracciando le battaglie del Carroccio, che negli ultimi anni – con la guida Salvini – ha allargato il suo bacino elettorale in tutta l’Emilia occidentale arrivando fino a Bologna. Il presidente, dal canto suo, sottolinea la “spesa zero” di questo tentativo, a differenza dei costi di acquisto dei 24mila tablet per far esprimere i lombardi sull’argomento.
Mentre i colleghi Luca Zaia e Roberto Maroni – entrambi nel mirino per le spese referendarie – hanno scelto la strada del Referendum, a Bologna si è preferito il confronto assembleare. Così è stato necessario l’ok del Consiglio regionale al documento, con 22 voti favorevoli (Pd, Mdp e Sinistra Italiana), mentre contro si sono espressi Lega Nord e Fratelli d’Italia. Il Movimento 5 Stelle non ha partecipato al voto, Forza Italia e “Altra Emilia-Romagna” hanno optato per l’astensione. La decisione di sposare il percorso assembleare non è piaciuta proprio a quella Lega Nord che ha fatto da apripista per le autonomie di Lombardia e Veneto. Maroni ha punzecchiato: Bonaccini si è svegliato dopo ed è sceso a patti con il governo.
In Emilia-Romagna – secondo la giunta – il percorso verso l’autonomia non sembrerebbe presentare particolari ostacoli sul proprio cammino. Dopo l’ok del premier Gentiloni. Non la pensa però così la Lega emiliana. “Bonaccini si è recato a Roma per chiedere l’autonomia dell’Emilia-Romagna: una missione che suscita tenerezza”. Così il capogruppo regionale della Lega Nord Alan Fabbri ha liquidato la questione. “È un’azione orchestrata con il Pd, al solo scopo di spostare l’attenzione da quello che sta succedendo in Lombardia e Veneto, dove i cittadini saranno chiamati alle urne, in un processo democratico, per chiedere effettivamente che i loro territori possano usufruire del residuo fiscale che le due regioni producono. Niente a che vedere con le quattro o cinque materie – peraltro tutte concorrenti – che Bonaccini vorrebbe portare a casa, con una stretta di mano del premier Gentiloni. Come se non sapesse che per ottenere qualsiasi forma di autonomia occorre una legge del Parlamento – sbotta Fabbri – che sarà difficile approvare, visti i tempi strettissimi della legislatura e le difficoltà della maggioranza Pd”. Secondo la Lega, l’intento di Bonaccini è soltanto quello di provare a oscurare e screditare Zaia e Maroni, che sperano di fare il pieno di consensi al referendum di domenica.