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Giudici senza limiti? Cosa si è detto al convegno del centro studi Livatino

“Se una volta il giudice era la ‘bocca della legge’, oggi viviamo il tempo in cui la bocca del giudice sembra essere diventata essa stessa la legge. Non solo per ricerca di protagonismo, ma per qualcosa di strutturale: per un rovesciamento di prospettiva che fa apparire la legge sempre in ritardo rispetto alla sentenza del giudice, e che quando arriva consacra il dictum giurisprudenziale”.

IL CONVEGNO ALLA CAMERA PROMOSSO DAL CENTRO STUDI LIVATINO

È quanto sostenuto dal Centro Studi Livatino, che venerdì 20 ottobre ha organizzato alla Camera dei deputati un convegno con un titolo del tutto eloquente: “Giudici senza limiti?”.

Cambiamento che fa pensare all’affermarsi di una “giuristocrazia” al posto della democrazia, termine ripreso nell’incontro dal vicepresidente del Centro studi Alfredo Mantovano (nella foto) e coniato in precedenza da Robert H. Bork nel suo “Il giudice sovrano”, citato poi spesso da giuristi come, tra gli altri, l’ex presidente della Camera Luciano Violante. E “che oggi trova attuazione nella realtà rappresentativa dei magistrati italiani”, ha annotato Mantovano.

L’idea promossa dal Centro Studi intitolato al “giudice santo” Rosario Livatino è che stiamo attraversando è un “periodo vuoto”, che “registra l’avvenuto sfaldamento di un mondo e di una civiltà costruiti sul  riconoscimento di principi percepiti come oggettivi e irrinunciabili”, e che invece “cerca di colmare quel vuoto con valori ancorati alla soggettività”. E dove la legge “è sempre in strutturale ritardo rispetto alla sentenza del giudice” , figura quest’ultima che si pone “sempre più oltre la legge”, chiamato “ad anticiparla” o a “colmare inevitabili vuoti di tutela di desideri sempre nuovi”. Sia perché “priva di paramenti ritenuti invalicabili”, sia perché “le stesse carte costituzionali vengono ritenute specchio di un’epoca passata”.

IL RUOLO DI GIUDICI E MAGISTRATI NEL SISTEMA ITALIANO E INTERNAZIONALE

“La magistratura è da tempo uscita dal ruolo del controllo per entrare in quello di attore sociale, il che consiste in una grave distorsione”, ha spiegato l’altro vicepresidente del Centro studi Domenico Airoma. Distorsione affermata nell’idea che “spetta al giudice esercitare la missione di elargire diritti, e per portarla a termine non vi sono limiti ordinamentali che tengano”, sempre più coperti dalla necessità di “passare per uno scenario di cornice sovranazionale, a cui solo i giudici possono dare attuazione”.

Diritti al cui fondo c’è il “principio di autodeterminazione inteso come libertà senza limiti, un cambio di paradigma antropologico”, stando a quanto viene espresso dal filosofo Gianni Vattimo. Mentre il Centro Studi Livatino è convinto del contrario, che esistano dei limiti, come scritto invece dall’editorialista del Corriere della Sera Claudio Magris: “Diritti che se non rispettati fanno soccombere i più deboli, tradendo la propria imparzialità e missione, che va difesa con coraggio davanti alle lusinghe del potere”, ha affermato Airoma. Per questo, come diceva lo stesso Livatino, “recuperare il diritto come riferimento unitario della convivenza collettiva non può essere in una democrazia moderna compito di una minoranza”.

L’INTERVENTO DEL PROCURATORE GERACI: “ASSISTIAMO A UNA LIQUEFAZIONE DEL SISTEMA”

Il punto infatti, ha spiegato l’anch’egli vicepresidente del Centro studi Filippo Vari, è che “la funzione del disporre norme spetta al parlamento”, mentre “al giudice l’applicazione concreta”. E al contempo “c’è una liquefazione del nostro sistema”, ha aggiunto il procuratore generale aggiunto alla Corte di Cassazione Vincenzo Geraci, presente nella “stratificazione multilivello delle fonti di diritto che non sono più solo nazionali”.

Una “congerie normativa” che genera “forme di schizofrenia legislativa”, come “l’elasticità delle fattispecie, che ha dilatato le competenze del pubblico ministero”, ad esempio nella rivendicazione “di una pretesa obbligatorietà dell’azione penale che permette di fare interventi fortemente compromissori”, mentre “il pubblico ministero non può essere confuso col funzionario di polizia”. Una “confusione di ruoli e un esondare dalle proprie competenze che non è solo derivato dal protagonismo ma anche dalla mancanza di tipicità della fattispecie”, un “rischio molto più grave di quanti si sospetta”, ha affermato ancora Geraci.

Riconducibile poi “all’estremizzazione dell’idea che alla fine la norma non è vincolante, ma una sorta di work in progress che poi verrà definita e focalizzata attraverso l’intervento della corte regolatrice”, come se fosse un prodotto “semi grezzo da lavorare mano a mano”. E “non ci si accorge che c’è invece uno smottamento pericolassimo della tripartizione classica”, nel momento “in cui il potere giudiziario deve interpretare la norma perché la vaghezza con la quale esce dal parlamento non consente di applicarla direttamente”. Quando cioè “un pubblico ministero può intestare un fascicolo per mezzo di osservazioni frutto di ricostruzioni storiche, sociologiche, giornalistica”, accade che il problema si pone “sotto gli occhi di tutti”, ha concluso Geraci.

MANTOVANO: “A SIENA UNA SESSIONE DEDICATA AI NUOVI DIRITTI: IL SUPERAMENTO DEI CONFINI È NEI FATTI”

Ad esempio, ha ammonito Mantovano, “nella brochure del congresso dell’Anm a Siena c’è una sessione dedicata ai nuovi diritti, anche svolgendo una funzione di supplenza: fine vita, nuove famiglie, droghe leggere, Ius soli”, e “uno dei relatori della penultima sessione del congresso vedrà come relatore il papà di Eluana Englaro. Credo che il superamento dei confini della giurisdizione sia nei fatti”

“LA CRISI DELLA LEGALITÀ SI CONSUMA NELLA LEGITTIMAZIONE DELLA POLITICA”, DICE IL PRESIDENTE RONCO

Crisi della legalità che “si consuma oggi sul piano della delegittimazione della politica”, ha proseguito il presidente del Centro studi Mauro Ronco. “Nel nuovo millennio è stata erosa la sovranità degli Stati sotto l’influsso della sovranità dei mercati”, e “tutta la politica italiano ha concorso a questa delegittimazione, con l’influsso della corte di Strasburgo, sempre a favore della seconda”. Specialmente “nei desideri che si fanno diritti”, dando “vita a un nuovo potere: il giudice globale che non da conto alle istanze politiche nazionali”, ma che legifera “tramite leggi generali contrarie a quelle interne, senza nemmeno fornire principi validi come norma di carattere generale. Questo laborio disorienta i cittadini”, ha affermato Ronco.

Perciò “sembra vantaggioso ritornare al primato della legge statale chiaramente determinata. I mezzi di informazione non danno più prodotto della legge, perché resta un semilavorato nelle mani dei giudici”: ma questo è il “negare la stessa giustizia”.

IL MEMBRO DEL CSM BALDUZZI: “IL PROBLEMA È CULTURALE”

Tuttavia “la mitezza è anche un valore che trova radici nell’Antico testamento”, ha aggiunto il componente laico del Consiglio superiore della magistratura Renato Balduzzi. “Mite non vuol dire buonista, di chi cioè non avverte la realtà o il senso di responsabilità, ma di chi invece avverte il senso del limite”. Perché “il giudice deve rendere ragione motivando le proprie pronunce, c’è un obbligo preciso”, ha spiegato. E “la coscienza retta, se davvero tale, è consapevolezza del limite. Dell’idea che c’è qualcosa prima di giudicare”. Perciò “l’unico modo di contrastare questo tipo di fenomeni è sotto il profilo culturale”, ha spiegato Balduzzi.

Tuttavia le giurisdizioni sovranazionali, come i giudici costituzionali, devono essere consapevoli del dovere “di difendere l’identità essenziale e costituzionale dell’ordinamento nazionale. Se a Strasburgo hanno potere di decidere sopra gli stessi, hanno anche il dovere di ponderarli singolarmente”. Ovvero dove “il legislatore è in affanno”, in quanto “non è più colui che mette in atto norme generali”, e bisogna” dare rimedio a questa situazione”, ha chiosato. Per esempio, “non è possibile non ammettere che ci sia qualche cosa che preesiste all’attività interpretativa, e su questo punto non dovrebbe essere difficile ricostruire una identità culturale”.



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