La 48a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, che si aprirà a Cagliari in questi giorni, è un appuntamento importantissimo, e tanto atteso, in cui i cattolici si riuniranno per far sentire la loro voce sulle emergenze sociali del nostro Paese, partendo dal problema più serio: il lavoro. Sarà il punto di approdo di un lungo percorso attraverso i volti e le storie delle persone, con uno sguardo attento sulla realtà attuale e, quindi, una grande possibilità per testare i bisogni veri ed intercettare proposte interessanti. L’obiettivo, infatti, non è solo quello di dialogare e confrontarsi in un “convegno”, ma di fornire risposte ed elaborare delle proposte concrete a conclusione del cammino di preparazione.
Ora, come accade nei grandi passaggi d’epoca si è aperta per i cattolici una stagione del “tempo opportuno”. Basta che siano liberi e autonomi: non una dependance di un partito, pur interessandosi di politica, o di un gruppo di potere. L’Italia ha bisogno di cattolici impegnati e non possiamo essere passivi testimoni di una partita nella quale dobbiamo essere invece protagonisti utilizzando al meglio quel che ci è proprio: lo stimolo ad un’azione collettiva con la lungimiranza strategica e la flessibilità tattica al servizio degli interessi dei lavoratori e del Paese. Dopo un lungo periodo in cui il mondo cattolico è sembrato spesso incomprensibilmente silente, ora finalmente i cattolici rialzano la testa e sono pronti a dare il loro contributo per il bene comune del Paese.
Il lavoro è oggi investito da una profonda trasformazione, ma noi non condividiamo le previsioni catastrofiste che si stanno addensando intorno a questi cambiamenti. La storia è segnata da continue rivoluzioni tecnologiche e il segno di civiltà che decide la direzione dei passaggi d’epoca sta nella lungimiranza e nella capacità delle grandi rappresentanze sociali e politiche di essere pronte all’appuntamento con le domande e le sfide della storia.
Inoltre, veniamo da anni in cui la crisi e la recessione hanno prodotto impatti negativi proprio sul lavoro e sulla sua distribuzione. Ma ora, soprattutto, è necessaria una conversione culturale che metta al centro del sistema non più il consumo ma il lavoro degno e costruttivo per la persona e per il benessere della comunità.
Il lavoro sta cambiando a grande velocità ma non vogliamo lasciarci andare a catastrofismi e stiamo cercando di trovare risposte per creare e difendere il lavoro di buona qualità e per contrastare la disoccupazione, perché senza lavoro viene meno la dignità stessa dell’uomo. Senza che sia riconosciuto a tutti il diritto al lavoro, non si potrà nemmeno avere alcuna reale ripresa economica. Il lavoro non si crea con i decreti, come molti hanno pensato in questi ultimi anni: il diritto può fornire degli strumenti così come le agenzie educative e le politiche del lavoro, ma è impensabile che alchimie normative possano creare posti di lavoro. Piuttosto è fondamentale un piano strategico di sviluppo industriale per capire quali direzioni prenderà il mondo del lavoro, quali saranno i lavori che avranno più opportunità e quali invece scompariranno. Ma non è sufficiente trovare soluzioni per contrastare la disoccupazione, dobbiamo anche pensare al modo in cui sarà possibile evitarla. Io penso che solo un processo di formazione professionale continua possa aprire a molti lavoratori le porte del futuro, aiutandoli ad affrontare il mutamento in corso.
Tutto questo si può realizzare solo se si opera di concerto con il sistema industriale, con il mondo dei servizi, dell’agricoltura, dell’artigianato e, sempre di più, con il mondo del terzo settore. Solo lavorando insieme sarà possibile raggiungere un equilibrio in termini di progresso e di benessere per le persone.
Tutti insieme dobbiamo continuare a lavorare per il sistema Paese e non potremo fermarci fino a quando l’economia non sarà tornata in piena salute, con una netta riduzione della disoccupazione e della povertà, e i lavoratori non abbiano un lavoro dignitoso.
Nessuno ha la bacchetta magica, ma cerchiamo di indicare un percorso da cui ripartire. I quattro giorni di Cagliari dovranno lasciare un segno nell’arena sociale italiana.