La Banca centrale europea ha preso tre decisioni, con ampio consenso, ma non all’unanimità: 1) i tassi di interesse restano invariati, non salgono, anzi saranno inchiodati al pavimento per lungo tempo, tutto il tempo necessario a far sì che la crescita continui; 2) l’acquisto di titoli a partire dal primo gennaio verrà ridotto da 60 a 30 miliardi di euro al mese; 3) il quantitative easing continuerà almeno fino a settembre 2018, ma potrà essere prolungato o anche ampliato di nuovo se le circostanze lo richiederanno, cioè se la crescita rallenterà e se si produrranno turbolenze sui mercati finanziari.
Si tratta dunque di un aggiustamento, molto graduale e gentile, di una politica monetaria che nella sostanza non cambia perché la sua linea di condotta è all’insegna della massima flessibilità.
Non c’è nessuna svolta drastica, al contrario di quel che molti, sui mercati e nei giornali, si aspettavano. Anche per questo la decisione è stata assunta a larga maggioranza. I tedeschi e i loro alleati avrebbero voluto un deciso cambiamento di passo. E’ chiaro invece che Mario Draghi vuole guidare la macchina che stampa moneta con cautela, senza sbalzi, e nella direzione che le ha indicato dal 2012. Draghi scade nel 2019 e fino ad allora intende tenere fede alla “rivoluzione monetaria” che ha impresso a una banca centrale nata con altri intenti e altre matrici politico-culturali.
Il passaggio chiave alla fine della sua conferenza stampa è lessicale, ma per un uomo che ha studiato dai gesuiti la parola è tutto. Rispondendo a un giornalista, ha detto che non si tratta di “tapering”, ma di uno “scaling down”. Tapering significa ridurre gradualmente portando il processo alla sua conclusione. Invece quel che la Bce vuol fare l’anno prossimo è ridurre la quantità continuando ad acquistare titoli, pronta a comprarne anche di più se necessario. Insomma, non c’è nessuna fine annunciata.
L’area euro nel suo complesso può contare su una politica monetaria coerente e stabile, ma in grado di adattarsi alle circostanze. Molto diversa dall’idea di moneta guidata da una sorta di pilota automatico cara agli ortodossi e che piace ai tedeschi ossessionati da una stabilità simile quella di una cella frigorifera.
E l’Italia? Che conseguenze deve trarne la politica economica italiana? La prima è che non c’è nessuna stretta monetaria in vista, dunque chi investe può stare tranquillo, i risparmiatori non debbono tenere i loro quattrini sotto il materasso, ma possono (anzi debbono) metterli in circolo comprando titoli, azioni, attività reali. Insomma, alimentando una ripresa che, dice Draghi, appare solida in tutta l’area euro e anche in Italia sta dando risultati superiori alle aspettative.
Nello stesso tempo, però, i politici italiani non possono dormire tra due cuscini, non possono più attendersi che sia la Bce a togliere loro le castagne dal fuoco che brucia l’economia italiana e si chiama debito pubblico. Dimezzare l’acquisto di titoli, pro quota, significa che il Tesoro deve piazzare più Btp tra i risparmiatori privati, possibilmente non banche già fin troppo inzeppate.
Diventa urgente, dunque, non solo fermare la crescita del debito, ma ridurne anche lo stock. I titoli emessi ogni anno servono a coprire il nuovo disavanzo, ma anche i buoni in scadenza e ciò aumenta il servizio del debito. Senza dimenticare che riducendo l’acquisto da parte della Bce (che finora ha in portafoglio circa 200 miliardi di euro in titoli italiani) cambia l’equilibrio tra domanda e offerta, influenzando così il prezzo.
La decisione della banca centrale non è tale da prefigurare il rischio di una nuova guerra dello spread, tuttavia mette i governanti di fronte alle loro responsabilità. E’ un avvertimento molto chiaro al prossimo parlamento e al prossimo esecutivo. Il dibattito politico è in tutt’altre faccende affaccendato, tuttavia Draghi ha detto in modo soft, senza urlare e senza colpi di testa che la priorità della prossima legislatura è ridurre il debito, sia continuando a sostenere la crescita del prodotto lordo, sia imponendo una sterzata netta, cioè fermando la spirale perversa di tasse e spese che si inseguono, come Achille e la tartaruga nel paradosso di Zenone.