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Ecco come Papa Francesco ha strigliato i populisti di tutta Europa citando San Benedetto

Piuttosto che impegnarsi per “favorire il dialogo”, troppo spesso la politica si trasforma “in sede di scontro fra forze contrastanti”, e “si ha la sensazione che il bene comune non sia più l’obiettivo primario perseguito”. Questo fa trovare “terreno fertile in molti Paesi” alle “formazioni estremiste e populiste che fanno della protesta il cuore del loro messaggio politico, senza tuttavia offrire l’alternativa di un costruttivo progetto politico. Al dialogo si sostituisce, o una contrapposizione sterile, che può anche mettere in pericolo la convivenza civile, o un’egemonia del potere politico che ingabbia e impedisce una vera vita democratica. In un caso si distruggono i ponti e nell’altro si costruiscono muri”.

IL DISCORSO DEL PAPA AL TERMINE DEL CONVEGNO SULL’EUROPA

Non fa nomi, ma è un messaggio diretto e schietto, quello lanciato da Papa Francesco ieri sabato 28 ottobre in conclusione dell’incontro organizzato dalla Comece – la Commissione delle conferenze episcopali dell’Unione europea – (Re)Thinking Europe. Un contributo cristiano al futuro del progetto europeo, in cui si sono confrontati esponenti politici europei, di organizzazioni civili e della Chiesa, attorno al tema del rilancio dell’Unione europea. Nel bel mezzo della crisi catalana, parallelamente alle affermazioni in vari Paesi europei di partiti anti-sistema, e durante il processo di attuazione della Brexit, il discorso di Bergoglio si situa in una posizione sempre più contigua all’attualità politica. Perché se già in passato più e più volte Francesco ha strigliato l’Europa, a partire dalla storica orazione tenuta durante il ricevimento del premio Carlo Magno in cui l’ha bollata come “vecchia e stanca”, stavolta saranno diversi i leader di Paesi europei, coinvolti in “contrapposizioni sterili” ed “egemonie politiche”, a cui fischieranno le orecchie.

“LA POLITICA NON È IMPROVVISAZIONE”, E “LA VIRTÙ DEL GOVERNANTE È LA PRUDENZA”

Bergoglio ha parlato anche dell’impreparazione dei governanti, oppure aspiranti tali. Per “ridare dignità alla politica”, ha infatti affermato, serve “anche un’adeguata formazione, poiché essa non è l’arte dell’improvvisazione, bensì un’espressione alta di abnegazione e dedizione personale a vantaggio della comunità. Essere leader esige studio, preparazione ed esperienza”. Dunque un richiamo alla competenza dei politici ma allo stesso tempo anche l’ennesima bacchettata, al termine di un convegno dove il punto centrale è stato il tema del dialogo, indicato dal Papa come la principale finalità dei cristiani in politica. Sul fenomeno migratorio, dopo aver richiamato all’impegno di mettere al centro la dignità della persona, ha specificato che “la virtù propria del governante” è “la prudenza”, e che “non si può pensare che questo sia un processo indiscriminato e senza regole, ma non si possono nemmeno ergere muri di indifferenza o di paura”. E “gli stessi migranti non devono tralasciare l’onere grave di conoscere, rispettare e anche assimilare la cultura e le tradizioni della nazione che li accoglie”.

L’IDENTITÀ EUROPEA CHE NASCE CON SAN BENEDETTO

Una lunga citazione è stata dedicata alla figura di san Benedetto, patrono europeo nominato da Paolo VI, nonché vero precursore dell’identità europea. “Nel tramonto della civiltà antica, mentre le glorie di Roma divenivano quelle rovine che ancora oggi possiamo ammirare in città, mentre nuovi popoli premevano sui confini dell’antico Impero, un giovane fece riecheggiare la voce del Salmista: «Chi è l’uomo che vuole la vita e desidera vedere giorni felici?»”, ha detto Papa Francesco. “Nel proporre questo interrogativo nel Prologo della Regola, san Benedetto pose all’attenzione una concezione dell’uomo radicalmente diversa da quella che aveva contraddistinto la classicità greco-romana, e ancor più di quella violenta che aveva caratterizzato le invasioni barbariche”, ha proseguito. Prima di spiegare che “per Benedetto non ci sono ruoli, ci sono persone”, e che “è proprio questo uno dei valori fondamentali che il cristianesimo ha portato: il senso della persona, costituita a immagine di Dio. A partire da tale principio si costruiranno i monasteri, che diverranno nel tempo culla della rinascita umana, culturale, religiosa ed anche economica del continente”.

IL RUOLO PUBBLICO DELLA RELIGIONE E IL “PREGIUDIZIO LAICISTA”

I cristiani infatti “riconoscono che la loro identità è innanzitutto relazionale”, in quanto “inseriti come membra di un corpo, la Chiesa, nel quale ciascuno con la propria identità e peculiarità partecipa liberamente all’edificazione comune”. In questo “la famiglia, come prima comunità, rimane il più fondamentale luogo di tale scoperta. In essa, la diversità è esaltata e nello stesso tempo è ricompresa nell’unità”, ed essa è “l’unione armonica delle differenze tra l’uomo e la donna, che è tanto più vera e profonda quanto più è generativa, capace di aprirsi alla vita e agli altri”. Ed è esattamente questo ciò che “ci spinge a considerare il ruolo positivo e costruttivo che in generale la religione possiede nell’edificazione della società”. Anche se “purtroppo, un certo pregiudizio laicista, ancora in auge, non è in grado di percepire il valore positivo per la società del ruolo pubblico e oggettivo della religione, preferendo relegarla ad una sfera meramente privata e sentimentale. Si instaura così pure il predominio di un certo pensiero unico, assai diffuso nei consessi internazionali, che vede nell’affermazione di un’identità religiosa un pericolo per sé e per la propria egemonia, finendo così per favorire un’artefatta contrapposizione fra il diritto alla libertà religiosa e altri diritti fondamentali”.

I GIOVANI E IL CONFLITTO GENERAZIONALE “DAGLI ANNI SESSANTA DEL SECOLO SCORSO”

Un discorso perciò a tutto tondo, quello di Francesco, passato dalle preoccupazioni per l’attualità alle radici storiche dell’Europa, risalenti ai monasteri benedettini, toccando nel mezzo numerosi punti nevralgici. Un’altra stoccata è stata infatti riservata al “conflitto generazionale senza precedenti” in corso “ a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso”, dove, ha affermato il Papa, “alla tradizione si è preferito il tradimento”. Così che “al rigetto di ciò che giungeva dai padri, è seguito così il tempo di una drammatica sterilità. Non solo perché in Europa si fanno pochi figli, e troppi sono quelli che sono stati privati del diritto di nascere, ma anche perché ci si è scoperti incapaci di consegnare ai giovani gli strumenti materiali e culturali per affrontare il futuro”. In questo modo “tanti giovani si trovano smarriti davanti all’assenza di radici e di prospettive, in balia delle onde e trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, e “grave è l’onere di educare”, che “esige il coinvolgimento di tutta la società”.

“OCCORRE RIPARTIRE DALLO SPIRITO DEGLI IMPRENDITORI CRISTIANI”

Mentre al contrario, sempre nel secolo scorso, ha fatto notare il Papa ai presenti in sala, molti dei quali intervenuti nell’arco dei lavori a porte chiuse che hanno caratterizzato le due giornate dell’evento, “non sono mancati esempi eloquenti di imprenditori cristiani”. Questo per dire, rialzando la testa dai problemi elencati in più e più occasioni tanto dai vari relatori in apertura dell’evento quanto dallo stesso Papa durante le sue conclusioni, che “occorre ripartire dallo spirito di quelle iniziative, che sono anche il miglior antidoto agli scompensi provocati da una globalizzazione senz’anima”. E che, anche se “oggi molti tendono a rifuggire lavori in settori un tempo cruciali, perché ritenuti faticosi e poco remunerativi, dimenticando quanto essi siano indispensabili per lo sviluppo umano”, di fatto “spetta parimenti ai governi creare le condizioni economiche che favoriscano una sana imprenditoria e livelli adeguati di impiego”. Mentre “alla politica compete specialmente riattivare un circolo virtuoso, a partire da investimenti a favore della famiglia e dell’educazione”.


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