Grazie all’autorizzazione dell’autore e dell’editore, pubblichiamo il commento di Giovanni Bucchi comparso sulla versione odierna del quotidiano Italia Oggi.
Un’emorragia senza precedenti: 248.768 voti persi alla Camera rispetto alle politiche del 2008, altri 205.429 al Senato. Ma il dato più clamoroso è la differenza con le regionali 2010: 384.370 consensi sfumati, ridotti quasi a un quinto, da 501.027 a 116.657. La ritirata della Lega Nord dalle regioni a sud del Po è nei numeri.
In Emilia-Romagna, Liguria, Marche, Toscana e Umbria (circoscrizioni elettorali su si basano i calcoli) il partito viaggia su percentuali per le quali sono troppe pure un paio di dita. E dire che in alcuni di questi territori si erano segnati successi storici in doppia cifra.
Il segretario federale Roberto Maroni però lo aveva detto: meglio prendere la Lombardia dopo Piemonte e Veneto per la macroregione nord, piuttosto che eleggere qualche parlamentare in più a Roma, dove peraltro i risultati, in termini di riforme, non sono stati quelli sperati. E così è stato. L’ex ministro dell’Interno ha conquistato il Pirellone, e la Lega guida le tre principali regioni del nord proprio adesso – e qui sta il paradosso – che vive uno dei momenti più difficili, con i consensi più che dimezzati.
Inevitabile che con lo slogan “Prima il Nord” quanto sta a sud del Po sia passato in secondo piano. Se non proprio abbandonato del tutto.
Qualche numero per spiegarsi: nel 2008 la Lega Nord aveva eletto quattro deputati in Emilia-Romagna (Angelo Alessandri, Gianluca Pini, Fabio Rainieri, Massimo Polledri) forte del 7,77% (14,16 in provincia di Piacenza) con 217.831 voti.
Alle regionali del 2010 le cifre crescono: 13,68% per 288.601 voti e addirittura quattro consiglieri eletti. Nel 2013 il tracollo: appena 69.097 consensi, il solo maroniano Pini con un seggio alla Camera grazie al 2,58% ma soprattutto grazie all’alleanza con l’odiato Pdl.
Nessun senatore, mentre cinque anni fa da Bologna partirono Giovanni Torri e Angela Maraventano, il vicesindaco di Lampedusa paracadutato sotto le Due Torri.
Stessa debacle nella Liguria dell’ex tesoriere Francesco Belsito all’origine degli scandali giudiziari: dai 68.337 voti del 2008 (6,83) alla Camera che valsero due deputati (Maurizio Balocchi, deceduto e sostituito da Edoardo Rixi, e Guido Bonino), poi saliti a 76.265 alle regionali 2010 (10,22) con tre consiglieri, fino ai 21.861 di qualche giorno fa e al misero 2,33. Anche in questo caso, nessun senatore, a differenza di Roberto Castelli eletto nella legislatura scorsa.
In Toscana il Carroccio si è azzerato, nel senso che viaggia su percentuali da zero virgola: 0,73% per 16.216 voti. Ovviamente, nessun deputato eletto, mentre nel 2008 con 48.278 voti (2,04) andò a Montecitorio il marchigiano Luca Rodolfo Paolini, bossiano doc; alle regionali del 2010 i padani ottennero addirittura tre consiglieri con il 4,78 (72.548). Pure nelle Marche la Lega era riuscita cinque anni fa a strappare un seggio alla Camera: quello di Matteo Brigandì, l’avvocato di Umberto Bossi poi dimessosi per andare al Csm (poltrona lasciata per incompatibilità) e sostituito da Eraldo Isidori.
Bei ricordi quel 2,21 (21.752), così come il 6,32 alle regionali (45.726) forte del quale il Carroccio aveva pure conquistato un Comune in provincia di Pesaro-Urbino. Adesso si viaggia sullo 0,69 alla Camera con un pugno di preferenze (6.406).
Non aveva eletto parlamentari, ma la Lega aveva comunque raggiunto percentuali ragguardevoli anche in una regione rossa e al confine con il sud come l’Umbria. Dall’1,67 di cinque anni fa (9.407) alla Camera, ma soprattutto dal 4,34 delle regionali 2010 con un consigliere eletto, allo 0,58 di adesso (3.077) sempre a Montecitorio. D’altronde, è questo che Maroni vuole.