Sangue, soldi, sesso. Sono i tre fili rossi con i quali l’editore presenta la trama della nuova inchiesta di Gianluigi Nuzzi intorno alle vicende vaticane Peccato Originale, in libreria da giovedì per Chiarelettere. Tra le oltre 300 pagine del volume spicca un’intervista all’avvocato Francesco De Pasquale, primo direttore dell’Aif, l’Autorità di informazione finanziaria del Vaticano. L’organismo antiriciclaggio creato nel 2010 da Benedetto XVI e dall’allora presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi. Ente diretto da De Pasquale dal 2011 al 2013. Un’autorità più volte riformata, nelle direttive e nei protagonisti chiamati a rendere trasparente la cassa di Pietro. Quel sistema è entrato a regime? O, come pare dalle risposte dell’allora direttore dell’Aif, la Segreteria di stato continua ad esercitare un controllo eccessivo rispetto a un organo terzo? “Credo che le procedure siano in piedi, però… Con tutte queste società di consulenza che sono intervenute le procedure saranno senz’altro in ordine. Diciamo che c’è stato un adeguamento di facciata”, risponde De Pasquale al giornalista milanese protagonista dei due Vatileaks. Risposte dense e ricordi di una complicata vicenda. Come quella volta che un monsignore di Curia chiese al direttore del nuovo organo antiriciclaggio: “Ma a questi di Moneyval bisogna dire la verità?”.
Nuzzi ha incontrato De Pasquale il 14 giugno scorso all’hotel Marcella Royal di Roma. Dalla conversazione emergono valutazioni su quanto è stato fatto e sull’attuale gestione dell’Aif, affidata dopo le dimissioni del cardinale Attilio Nicora allo svizzero René Brülhart. Con una notizia che, se confermata, avrebbe del clamoroso: uno studiato ritardo auspicato da dietro le mura leonine nel riproporsi alle valutazioni di Moneyval, l’organo anti riciclaggio del Consiglio d’Europa.
Formiche.net pubblica alcuni stralci dell’intervista concessa dall’avvocato De Pasquale (a sinistra nella foto, con Attilio Nicora) a Nuzzi.
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Tutto bene quindi?
Non bastano le procedure. Bisogna che qualcuno vada a mettere il naso nei conti. Invece, l’unico rapporto di valutazione rimane quello del luglio 2012, dopo ci sono due progress reports (2013 e 2015) che però non sono valutazioni, non hanno rilievo dal punto di vista valutativo. Essendo arrivato per ultimo, il Vaticano deve ancora ricevere una seconda valutazione, quando gli altri paesi ne hanno già avute tre o quattro. Questa dovrà verificare non solo la compatibilità normativa con gli standard internazionali ma l’effettività, cioè l’adeguamento, la messa in pratica. Allora vedremo… Credo che però passerà molto tempo.
Perché?
Perché adesso hanno in mano le leve per procrastinare il più a lungo possibile questa valutazione, tanto è vero che, nel calendario degli organi di controllo (Moneyval e Gafi, il Gruppo d’azione finanziaria internazionale), il Vaticano ancora non c’è. Ci sono due elenchi: sul primo appaiono i paesi che saranno sottoposti alla visita addirittura fino al 2022, nel secondo ci sono i paesi per cui non è stata ancora fissata una data di valutazione e tra questi, presumibilmente, c’è anche il Vaticano. Forse hanno paura che da un punto di vista dell’effettività [dell’applicazione della legge, nda] qualcosa sfugga.
(…)
Da dove nasce il presunto empasse nella riforma delle finanze vaticane? Dove si opacizza, se così è, l’operazione trasparenza? Diamo di nuovo la parola alle domande di Nuzzi e alle risposte dell’avvocato De Pasquale. Anzitutto inquadrandone il ruolo:
Avvocato De Pasquale, lei venne chiamato in Vaticano per implementare le norme contro il denaro sporco. Per quanto tempo?
Tutto è cominciato nel 2010. Il professor Condemi mi chiese di collaborare alla stesura della legge iniziale, che sarà emanata da papa Ratzinger il 31 dicembre dello stesso anno. Con incarichi ufficiali sono rimasto dal 2011 al 2014. Per il primo anno e mezzo sono stato direttore dell’Aif, ruolo che ho lasciato poi a René Brülhart, per essere cooptato nel consiglio direttivo. All’epoca non c’era niente, giusto questa legge e il consiglio direttivo di quest’autorità. Bisognava costruire tutto. Non c’era alcun tipo di controllo, allo Ior facevano quello che volevano, [alcuni dirigenti, nda] agivano in nome dell’istituto gestendo tutta una marea di sottoconti. Insomma, si poteva fare qualsiasi cosa. [Questi dirigenti, nda] pretendevano che Banca d’Italia si accontentasse del fatto che loro facevano un trasferimento per conto semplicemente dello Ior, mentre dalla banca centrale chiedevano chi fossero i titolari e i beneficiari effettivi di quei fondi.
In quegli anni il Vaticano fu segnato da uno scontro importante…
Sì, abbiamo portato a termine una parte del lavoro, ma per la seconda parte non ci è stato consentito. Gli scontri sono avvenuti sulle norme da modificare e da applicare. Si doveva andare avanti su una certa strada e mi resi conto che non si era ancora pronti per affrontare questi cambiamenti.
Insomma, emerge uno scontro tra diversi partiti su come gestire la partita.
Chiede Nuzzi:
Com’era il clima in quel periodo nei suoi confronti e in quelli del professor Condemi, del cardinale Nicora, insomma di chi cercava di implementare le norme antiriciclaggio?
Alcuni fatti possono essere assai esplicativi. Un giorno, a fine settembre del 2010, al telefono, monsignor Balestrero, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, mi chiese di raggiungerlo a una riunione del consiglio della segreteria di Stato in cui si doveva affrontare il problema dell’indagine avviata sullo Ior: Cipriani e Tulli erano indagati. Io pensavo che dovessimo dare una mano per fare chiarezza. Ero con il mio vice, Alfredo Pallini, c’era anche Nicora, entriamo e ci troviamo di fronte al gotha: oltre a Bertone, erano lì in fila Mamberti, Balestrero e Wells, praticamente una sorta di tribunale.
Perché?
Cipriani e i dirigenti dello Ior accusavano me e Pallini di averli denunciati in procura e di coltivare rapporti segreti con la banca americana interessata. In particolare, a loro dire, avevamo anche partecipato a una cena con i dirigenti di J.P. Morgan a Milano.
Insomma, un complotto…
Peccato che non fossi mai stato a Milano in quel periodo. Si trattava di una cosa che si erano inventati. Noi rispondemmo abbastanza animatamente e s’instaurò una specie di contradditorio, piuttosto agitato.
(…)
Vi accusarono per approfittare di questa situazione e mettervi in difficoltà?
Penso di sì.
Queste accuse erano rivolte a lei e al suo collaboratore, o anche al cardinal Nicora?
Anche a Nicora, indirettamente. Penso che Nicora fosse accusato di farsi influenzare dai funzionari della Banca d’Italia.
Quindi anche Nicora era malvisto?
Nel tempo ho cercato di capire meglio questa spaccatura che si è accentuata negli anni successivi. Anche Nicora era un nemico agli occhi del nuovo direttore Brülhart, perché non era tanto favorevole ai traffici dello Ior.
Ma di che traffici stiamo parlando, secondo lei? Si è fatto un’idea?
Avrei potuto farmi un’idea se avessi avuto il tempo e i mezzi per conoscere quei segreti…
Come vi eravate mossi fino a quel momento?
Bisognava stabilire che cosa dovesse fare l’Autorità di controllo, verso quali istituzioni e autorità interne dovesse rivolgere la sua attività. Soprattutto bisognava sensibilizzare dall’interno i vari organismi e le varie istituzioni su questa materia. Erano imminenti i controlli internazionali, quindi era importante andare molto di corsa. Cominciammo a emanare tutta una serie di circolari che davano indicazioni agli organismi interni sull’applicazione delle misure antiriciclaggio. Si richiedeva l’identificazione della clientela, l’adeguata verifica e registrazione delle operazioni, la segnalazione di quelle sospette, la cooperazione con le autorità competenti degli altri paesi europei. Avemmo vari incontri con l’Apsa, lo Ior, e trovai una buona collaborazione col presidente, impegnato a portare il Vaticano sulla strada della white list: lui era dalla nostra parte. Invece registrai scarsa collaborazione, o quasi nulla, dalla dirigenza dello Ior. All’epoca c’erano Cipriani direttore e Tulli vicedirettore, gli stessi che sono stati recentemente condannati, anche se a una pena lieve, per violazione delle normative antiriciclaggio italiane.
(…)
L’Aif a chi rispondeva?
Era autonoma, è stata costituita come autorità autonoma. Necessariamente queste autorità antiriciclaggio, nei vari paesi, devono essere almeno formalmente autonome.
C’è stato un periodo in cui finì sotto il controllo della segreteria di Stato?
Lo scontro all’interno avvenne perché, quando dovevamo riformare la norma antiriciclaggio – la legge n. 127 del 30 dicembre 2010 – Briamonte sposò il parere di Dalla Torre secondo il quale noi non potevamo avere accesso ai dati dello Ior, se non a quelli successivi al primo aprile 2011. Era evidente che non collaboravano. A Cipriani, tra l’altro, io annunciai che di lì a poche settimane, nell’autunno del 2011, sarebbero arrivati gli ispettori di Moneyval e lui testuale mi rispose: «Ah, tanto io sarò in Australia».
Perché c’era questo ostracismo?
All’interno non sapevano niente di questa materia. Pensavano di non essere soggetti a queste misure, quindi non erano sensibilizzati. Nei parecchi incontri con il Governatorato, con la Gendarmeria, trovavamo che alcuni erano più sensibili, perché si rendevano conto dell’importanza, altri invece non capivano, altri ancora boicottavano, finché non si resero conto, al momento in cui arrivarono gli ispettori di Moneyval, dell’importanza della cosa. Fu allora che ritennero di dover fare un passo indietro. L’Aif aveva troppi poteri e troppa autonomia. La segreteria di Stato introdusse alcune modifiche che erano del tutto negative… Stabilì, ad esempio, la necessità di una specie di nulla osta della segreteria su qualsiasi accordo dell’Aif con autorità di altri paesi.
Beh, è l’autorità politica…
Questo era contrario agli standard internazionali, perché l’autorità antiriciclaggio doveva essere autonoma, non poteva dipendere da un nulla osta della segreteria di Stato. Gli ispettori di Moneyval si resero conto che era stato fatto un passo indietro, e ce lo dissero apertamente. Da qui lo scontro, perché loro volevano riportare la funzione dell’Aif sotto la tutela della segreteria di Stato.
(…)
Ma cosa rappresentava Brülhart all’epoca: veniva da fuori o aveva già qualche incarico all’interno?
Era stato direttore della Fiu [Final Intelligence Unit, nda] del Liechtenstein e credo fosse consulente della segreteria di Stato. Ritengo abbia messo lui le mani alla revisione della legge, al cosiddetto «passo indietro».
E perché lei dice che Brülhart aveva la loro fiducia?
Perché era un consulente della segreteria di Stato. La segreteria di Stato, per qualsiasi attività all’interno del Vaticano, anche di competenza di altri enti o organismi, creava una specie di unità che faceva le stesse cose, un po’ come un governo ombra. In seguito, dal novembre del 2012, il consiglio direttivo fu a poco a poco esautorato e si riunì molto raramente, mentre con me si riuniva in continuazione e veniva messo al corrente di tutto quello che veniva fatto. Brülhart lavorava in accordo ovviamente con la segreteria di Stato, quindi non aveva interesse a [riunire spesso il consiglio, nda]… Poi Nicora era un nemico per loro.
Brülhart prese il comando totale dell’Aif?
Certo. Nicora era sempre convinto che nel contrasto fra lui e Brülhart, alla fine, sarebbe stato fatto fuori Brülhart. Invece fecero fuori lui, infatti fu costretto a dimettersi agli inizi del 2013.
E tutte quelle norme che facevano entrare l’Aif sotto il controllo della segreteria di Stato?
Poco a poco furono aggiustate. Nel 2013 tolsero il famoso nulla osta perché adesso erano loro che controllavano tutto. Non avevano più bisogno di mettere il nulla osta. Insomma, tutte le cose che avevano introdotto le tolsero a poco a poco, e ci fu un’ulteriore riforma della legge, mi pare nell’agosto del 2013, che mise in regola lo Ior con gli standard internazionali da un punto di vista solo formale. Far applicare la legge, farla funzionare è un’altra cosa.