La rivoluzione del fisco italiano pare sia ufficialmente (ri)partita.
Nell’intervista rilasciata ieri a Repubblica, Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate, ha infatti segnato la rotta di quella che dovrebbe essere una vera e propria rivoluzione dei rapporti tra fisco e contribuenti con anche un progetto ambizioso, quello di accantonare la dichiarazione dei redditi nell’arco di 5 anni.
Sogno del direttore è infatti la digitalizzazione completa del sistema fiscale italiano che consentirebbe al fisco, vista la mole di dati a disposizioni, di elaborare la dichiarazione per conto dei contribuenti che da “controllati” diventerebbero i “controllori del lavoro del fisco”.
Le criticità del progetto però non sono poche ed il neo direttore dell’Agenzia delle Entrate ne è perfettamente a conoscenza.
La prima è infatti legata al nostro sistema tributario, complesso e articolatissimo, con 388 leggi e 396 decreti attuativi che generano un numero mostruoso di casistiche, decine e decine di diverse percentuali di deducibilità dei costi legate alla tipologia di spesa sostenuta e di attività svolta e detrazioni di ogni tipo.
Sarebbe il sogno di tutti, operatori e non, ma pensare di riuscire ad incrociare una mole ingentissima di dati e rielaborarla sulla base del nostro infernale TESTO UNICO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI è più che un progetto ambizioso, sembra quasi fantascienza.
Senza una preventiva razionalizzazione e semplificazione del nostro sistema fiscale c’è il rischio che il tutto non potrà che ridursi ad una implementazione del 730 precompilato, che interessa comunque una platea importate di contribuenti, ma opera lontana da essere definita rivoluzionaria.
La seconda ma non meno importante criticità è legata alla gestione ed all’utilizzo dei dati a disposizione del fisco infatti, come dichiarato dal direttore Ruffini stesso “lo stato ha abbastanza dati per fare i calcoli in tasca ai contribuenti, basta incrociarli bene”.
Sappiano sulla nostra pelle che è cosa non da poco.
Siamo appena usciti infatti da una delle più risonanti polemiche degli ultimi anni in ambito fiscale, quella dell’invio dello SPESOMETRO, che doveva garantire al fisco la più grande mole di informazioni sulle fatture ricevute ed inviate dei soggetti a partita iva, ed al solo sentir parlare di gestione o invio di dati corre un brivido gelato lungo la schiena di tutti i professionisti ed imprenditori.
La storia dello spesometro è infatti purtroppo nota, proroghe su proroghe, un buco enorme nel sistema con privacy violata dei contribuenti, sanzioni abolite per ritardi ed errori, le istituzioni che si scaricavano la colpa l’una su l’altra ed alla fine… una marcia indietro alle vecchie modalità di invio.
L’esperienza spesometro inoltre fa sollevare ulteriori dubbi e paure che derivano da come questa digitalizzazione sarà strutturata ovvero come il fisco entrerà in possesso dei dati necessari per elaborare i dichiarativi.
Dall’inizio dell’era della digitalizzazione infatti l’onere è sempre ricaduto sui contribuenti che a fronte di pochi benefici ottenuti hanno visto un incremento ingestibile degli adempimenti fiscali periodici con i correlati costi connessi da sostenere, in poche parole il rischio è quello che, a fronte dell’accantonamento della dichiarazione, vengano introdotti altri e più complessi obblighi correlati.
Bisogna comunque dire che Ernesto Maria Ruffini ha ottenuto grandissimi risultati quando era a capo di Equitalia e il progresso tecnologico dell’ente ottenuto nei suoi anni di presidenza è sotto gli occhi di tutti, il sito di Equitalia ora lascito ad Agenzia delle Entrate Riscossione è infatti diventato un vero e proprio portale al servizio di contribuenti e professionisti che possono effettuare la maggioranza delle pratiche direttamente da casa online senza intasare gli uffici e perdere ore ed ore nelle file che tutti, purtroppo, almeno una volta nella vita abbiamo fatto.
La speranza è dunque che gli errori passati servano da lezione, “errare è umano, perseverare è diabolico” vedremo se le nostre istituzioni saranno una volta tanto più umane che diaboliche.