Il Congresso Usa parte all’attacco dei colossi di Internet Google, Facebook e Twitter e delle loro piattaforme social. Le fake news e le pubblicità politiche comprate da account russi che potrebbero aver falsato l’esito delle elezioni presidenziali 2016 hanno trasformato i colossi del web nel bersaglio bipartisan di deputati e senatori intenzionati a imporre un controllo. I rappresentanti legali di Google, Facebook e Twitter hanno testimoniato a inizio mese davanti al Congresso sul cosiddetto Russiagate, o Socialgate, ma i parlamentari Usa temono che l’ingerenza di Mosca sia andata oltre la sfera strettamente politica per toccare il settore dell’energia.
FAKE NEWS ANTI-PETROLIO
Bloomberg ha infatti riportato che il Congresso ha chiesto a Google, Facebook e Twitter informazioni su qualunque pubblicità online comprata da soggetti russi che abbiano tentato di manipolare i mercati americani dell’energia o diffuso critiche alla produzione di combustibili fossili negli Stati Uniti sostenendo invece le iniziative energetiche green. Le tre aziende (interpellate a fine settembre su questo tema, ma la notizia è trapelata solo ora) si sono prese tempo per rispondere, come riferito da Lamar Smith, repubblicano del Texas e presidente dell’House Committee on Science, Space and Technology. Smith ha anche chiesto di indicare se ci sono entità russe o di altri paesi attive nel settore energia che hanno profili sulle tre piattaforme social.
L’ipotesi dei parlamentari americani è che la Russia voglia creare scompiglio nell’industria americana dell’oil&gas perché l’incremento della produzione Usa contribuisce a mantenere bassi i prezzi del barile danneggiando il valore delle esportazioni di energia russe. L’eventuale azione di Mosca in questo settore è considerata comunque parte della più ampia campagna di disinformazione e influenza sul voto americano dello scorso anno.
SULLA GRIGLIA DEL CONGRESSO
Sulle fake news politiche diventate virali in piena campagna presidenziale 2016 il Congresso ha letteralmente messo sulla griglia i rappresentanti di Google, Facebook e Twitter. In tre audizioni ufficiali i general counsel delle tre aziende (Colin Stretch per Facebook, Sean Edgett per Twitter e Kent Walker per Google) hanno dovuto testimoniare davanti al Parlamento americano su quanto successo e sono stati sottoposti a un fuoco di domande (i video delle audizioni sono accessibili per esempio su Recode e Business Insider) alle quali spesso non hanno dato una risposta soddisfacente, come risulta chiaro dalle parole della senatrice Dianne Feinstein, Democratica della California: “Voi non capite la situazione: siete avvocati, difendete le vostre aziende. Qui si parla di un cataclisma. Dell’inizio di una cyber guerra. Signori, noi non lasceremo correre, è una questione gigantesca. Sono tornata a casa ieri sera molto delusa. Vi ho fatto delle domande specifiche e le risposte sono state vaghe. Non va bene”. E ancora: “Avete un problema enorme. E gli Stati Uniti sono solo il primo di una lista di paesi che vi chiederà delle risposte. Perché voi avete una responsabilità, avete creato delle piattaforme che ora vengono usate in modo distorto o illecito. E spetta a voi rimediare. Oppure lo facciamo noi”.
“I rappresentanti di Facebook, Google e Twitter sono saliti a Capitol Hill per la prima volta per ammettere pubblicamente di aver svolto un ruolo nell’influenza russa sulla campagna presidenziale, ma hanno offerto poco più che qualche promessa di rendere le loro piattaforme più trasparenti”, ha commentato il New York Times. “La loro riluttanza ha lasciato i parlamentari molto frustrati: avrebbero voluto ottenere un impegno certo che le elezioni americane d’ora in poi saranno al riparo dall’ingerenza straniera”.
COMPITI A CASA
Bloomberg ha riportato la lista delle richieste dei parlamentari americani rimaste inevase: gli avvocati di Google, Facebook e Twitter hanno promesso che risponderanno nelle prossime settimane. Il presidente del Senate Judiciary Committee, senatore Chuck Grassley, Repubblicano dell’Iowa, vuole da Google, Facebook e Twitter un documento in cui spiegano che cosa hanno scoperto nelle loro indagini interne sugli account russi, in particolare quanti sono e quante pubblicità hanno comprato. All’interno dello stesso comitato del Senato è stato chiesto a Twitter di specificare quante persone sono state indotte da informazioni false a votare tramite Sms pensando che il sistema fosse valido, mentre a Google è stato chiesto di rivelare se ha pagato al sito russo RT, che ha un canale su YouTube, la sua quota di ricavi pubblicitari.
Il presidente del Senate Intelligence Committee, senatore Richard Burr, Repubblicano del North Carolina, ha chiesto a Twitter quanti sono esattamente gli account bot (dietro i quali c’è un programma automatizzato non una persona): per Twitter sono il 5% del totale, ma fonti indipendenti sostengono che sono molti di più. Lo stesso comitato vuole da Facebook un documento che spiega come intende reagire alle tattiche degli account russi sulle fake news, mentre a tutte e tre le aziende è stato chiesto se hanno dovuto chiudere account fasulli in Catalogna, Spagna. I senatori del comitato per l’intelligence vogliono sapere anche se Google, Facebook e Twitter usano prodotti di Kaspersky Labs, società russa di cybersecurity che è stata di recente bandita dalla lista dei fornitori del governo, e quanti soldi hanno ricavato vendendo le pubblicità affiancate ai contenuti inseriti dai russi.
Numerose anche le domande senza risposta rivolte dall’House Intelligence Committee: per esempio, è stato chiesto di consegnare i messaggi diretti inviati dai soggetti dietro gli account russi, ma i general counsel hanno risposto che i messaggi diretti sono privati e occorrerà andare attraverso uno specifico processo legale. Elise Stefanik, Repubblicana di New York, vuole sapere da Google quanti account falsi ha, mentre e Jackie Speier, Democratica della California, ha chiesto a Google se informerà i suoi utenti che il sito RT rappresenta propaganda russa in quanto finanziato dal Cremlino.
PRONTI A FARE LA LEGGE
Per i parlamentari americani è inaccettabile che i tre colossi di Internet abbiano aspettato un anno se non di più prima di rivelare che i loro utenti americani erano stati sottoposti alla propaganda russa durante la campagna presidenziale del 2016. Di qui la richiesta di una soluzione “forte”, incluse delle regole sulla vendita di spazi pubblicitari online sulla falsariga di quelle che vigono per gli spot politici in Tv. Twitter ha fatto sapere al Congresso di aver chiuso oltre 200 profili collegati agli stessi gruppi russi che hanno acquistato su Facebook pubblicità politiche pro-Donald Trump e ha detto di aver individuato tre profili sulla sua piattaforma legati al sito di news governativo russo RT che avrebbero speso complessivamente 274.100 dollari in pubblicità a settembre del 2016.
Ma il bersaglio numero uno del Congresso americano è Facebook, che ha reso noto di aver scoperto circa 500 account fasulli, collegati con l’acquisto di 3.000 ads per una spesa di 100.000 dollari tra giugno 2015 e maggio 2017; Facebook ha anche detto che 126 milioni di utenti Usa potrebbero essere stati raggiunti dalla campagna di disinformazione pilotata dalla Internet Research Agency, dietro la quale c’è il Cremlino. Il social network ha promesso che assumerà 1.000 persone per una verifica manuale delle ads politiche, ma non basta: il senatore Lindsey Graham, Repubblicano del South Carolina, presidente del Crime and terrorism subcommittee, vuole una legge per proteggere gli Stati Uniti dall’influenza dei governi esteri: “E’ la Russia oggi, domani potrebbe essere l’Iran o la Corea del Nord”, ha detto. Il supporto a questa soluzione è bipartisan: la senatrice Amy Klobuchar, Democratica del Minnesota, ha affermato che la nuova legge è essenziale prima delle elezioni midterm del 2018.