Google, Facebook, Amazon ma anche Apple, Expedia, Airbnb piuttosto che le catene alberghiere dal prossimo luglio tratterranno il 6% dal loro fatturato per versarlo al fisco italiano. Le aziende che hanno una stabile organizzazione nel nostro Paese avranno un credito di imposta della stessa entità che potranno utilizzare per altri tributi fiscali. È questo l’uovo di Colombo messo a punto dai senatori Massimo Mucchetti, Gianluca Susta, Luigi Marino e Mauro Maria Marino d’accordo con il Governo per inserire la webtax nella legge di Bilancio che la prossima settimana verrà licenziata dal Senato. In pratica per un’impresa digitale che ha un’attività impiantata nel nostro Paese in un modo o nell’altro il 6% viene recuperato. Per un’impresa che non ha stabile organizzazione o non possiede un bilancio italiano è evidente che questo credito di imposta non verrà riconosciuto e sarà a tutti gli effetti una tassa web che verrà trattenuta nelle casse italiane.
COME FUNZIONA LA WEB TAX ITALIANA
“L’imposta del 6% su ricavi si applica erga omnes” – ha spiegato Mucchetti, presidente della Commissione Industria al Senato – “Quindi tutti dovranno pagare il nuovo tributo ma le aziende che hanno ”costi e oneri fiscali in Italia” potranno compensare attraverso il credito d’imposta che potrà essere utilizzato per l’Ires, l’Irap, i versamenti Inail o dei contributi”. L’introduzione dell’imposta era inizialmente contenuta in un disegno di legge, presentato nel settembre del 2016 e “che abbiamo incardinato nella prima parte dell’anno, con la piena consapevolezza di avere, come esito, non l’approvazione del disegno di legge ma la formulazione di un emendamento” alla legge di bilancio. Obiettivo è quello di “rafforzare l’azione” del fisco usando le “informazioni raccolte attraverso il cosiddetto spesometro” per poter effettuare “più penetranti interventi anti-elusivi” con riferimento “all’esistenza” della stabile organizzazione delle Over the top (le grandi aziende del web come Google e Amazon). La proposta mira anche a “dare seguito e corpo alle prese di posizione dei principali stati membri, introducendo una forma di tassazione delle transazioni relative alla prestazione di servizi digitali senza per questo penalizzare i soggetti che già versano le imposte sul reddito in Italia”. Oltre allo spesometro, altro pilastro per verificare se un’impresa ha diritto al credito d’imposta è “l’accertamento stabile della organizzazione dove non è dichiarata: se l’Agenzia delle Entrate verifica che si supera la soglia in un semestre di un numero di operazioni superiore a 1.500 unità per un controvalore complessivo non inferiore a 1,5 milioni di euro, “a beneficio di un soggetto non residente senza stabile organizzazione, l’Agenzia convoca il soggetto e avvia un dialogo per accertare come sia organizzato”. Da qui poi scatterebbe “l’introduzione della tassa del 6% che si applica a tutte le imprese che non hanno una stabile organizzazione”. Per evitare la doppia imposizione delle imprese italiane, “i clienti dei servizi web trattengono il 6% dalla fattura e lo versano agendo da sostituti di imposta. I fornitori di questi servizi in sostanza fatturano 100 e ne guadagnano 94 perché 6 lo tiene il cliente per versarlo allo Stato. Queste imprese che si vedono trattenuto il 6% hanno diritto a un credito di imposta di pari entità che può essere utilizzato per diminuire il versamento che il soggetto dovrà fare allo Stato per le sue attività”.
A REGIME SI RECUPERERÁ UN MILIARDO DI EURO DAI GIGANTI DEL WEB
Il gettito della webtax all’italiana sulle transazioni per i servizi digitali “potrebbe essere intorno ai 100 e 200 milioni di euro nei primi anni, e mano a mano che le cose vanno avanti è ragionevole pensare che si potrebbe arrivare a un miliardo di euro. Non una cifra enorme, ma neanche trascurabile” per Mucchetti anche se lo stesso senatore ha raccomandato “grande cautela” nello stimare il gettito iniziale della nuova imposta (“andrà in vigore da luglio 2018”), anche in considerazione dei tempi di avvio della “macchina” dell’Agenzia delle entrate. Ma quello che è certo è che l’iniziativa si incardina sulla falsariga di quanto più volte dichiarato dal Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni al recente vertice di Tallin dove l’Italia insieme ad altri nove paesi ha reclamato con forza l’imposizione di una webtax europea per le big company che eludono il fisco e hanno le proprie organizzazioni in piccoli stati come Irlanda o Malta con tassazione a loro molto favorevole.
EUROPA DIVISA, SI ASPETTA ESITO CONSULTAZIONE PUBBLICA
Intanto la Commissione Europea sul tema ha appena lanciato, come raccontato da Formiche.net una consultazione che si concluderà il prossimo gennaio pubblica rivolta alle imprese e ai cittadini europei per vedere se sono d’accordo sull’applicazione di una webtax europea. E il commissario europeo alla Concorrenza Margrethe Vestager ha sottolineato che il risultato della consultazione sarà utilizzato nei negoziati in corso con l’Ocse, l’organizzazione che raccoglie 35 nazioni industrializzate a livello mondiale. Ma Vestager ha messo anche in guardia che “se non c’è una risposta internazionale a questa domanda entro la prossima primavera, produrremo la nostra proposta per nuove regole Ue per assicurarci che le compagnie digitali siano tassate in modo corretto”. Il vero problema infatti è che l’Europa mai come ora è divisa ed è difficile trovare l’unanimità, cosa tra l’altro che sarebbe richiesta quando si trattano materie fiscali. Per questo alcuni Paesi, tra cui il nostro, hanno confermato che in assenza del consenso unanime si dovrà procedere sfruttando il meccanismo della cooperazione forzata. Anche se gli esempi che sono andati in questa direzione non sono stati molto positivi, basta ricordare la Tobin tax (la tassa sulle transazioni finanziarie) che non sta funzionando ed è ferma da anni in lunghe discussioni tecniche. C’è anche chi, come il Parlamento europeo e la stessa Commissione, propone di inserire la tassazione delle imprese digitali nel negoziato in corso sulla Common consolidated corporate tax, la direttiva che punta a creare una base imponibile comune per le imprese e, in un secondo momento, ad armonizzare l’aliquota. Oppure chi chiede che il tema venga allargato ai paesi Ocse perché la sola Europa da sola rischia di fare un buco nell’acqua. Quel che è certo è che il tema è diventato “non rinviabile”, come ha detto recentemente il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Ecco spiegato perché la webtax italiana potrebbe essere un’anteprima, una sorta di grimaldello, per convincere l’Europa ad adottare una misura unanime per costringere i big della Rete a versare al fisco europeo una parte dei loro stratosferici guadagni.