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Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps. Cosa cambierà con la regola Ifrs9

Il nuovo principio contabile Ifrs9, che chiede dal 2018 alle banche accantonamenti basati sulle perdite attese e non più soltanto quelle registrate, a pieno regime peserà in media per 40 punti base (0,4%) sul capitale degli istituti significativi dell’Eurozona e per 59 punti su quelli meno significative, secondo un’analisi della Bce. Il principio non sarà però applicato dalle piccole e medie banche che non usano gli Ifrs, tra cui la quasi totalità delle tedesche (si veda Milano Finanza del 2 settembre). Per quanto riguarda più in dettaglio le banche italiane l’impatto medio stimato è di 38 punti, una media tra i 37 punti delle banche significative e i 47 delle più piccole, secondo il’ultimo rapporto di stabilità di Banca d’Italia. I dati non considerano il periodo transitorio di cinque anni che è in via di definizione nei testi Ue.

Le rilevazioni delle banche centrali hanno consentito anche di acquisire informazioni sui maggiori problemi percepiti e sullo stato di preparazione delle banche alle nuove norme, che è risultato «disomogeneo tra gli intermediari» secondo Via Nazionale. «La principale difficoltà è costituita, soprattutto per le banche di minore dimensione, dallo sviluppo di modelli di calcolo delle perdite attese per i quali sono necessari dati di buona qualità e la disponibilità di lunghe serie storiche», ha osservato Bankitalia. «Numerosi intermediari ritengono che l’introduzione dell’Ifrs9 aumenterà la volatilità dei risultati economici e del patrimonio». In seguito dell’entrata in vigore del principio contabile inoltre verrà meno l’applicazione di una discrezionalità nazionale che consente alle banche meno significative di non attribuire al capitale Cet1 le plusvalenze e le minusvalenze non realizzate sulle esposizioni verso Stati nel portafoglio delle attività disponibili per la vendita (available for sale, Afs). Tale modifica «nell’immediato avrà effetti trascurabili sul Cet1 ratio», ha aggunto Bankitalia, anche se «potrebbe determinare in futuro una maggiore volatilità negli indici patrimoniali, che risulteranno maggiormente influenzati dalle variazioni dei corsi dei titoli di emittenti sovrani».

Il nuovo principio contabile chiederà quindi alle banche di muoversi in anticipo sulle svalutazioni dei crediti. È lo stesso obiettivo dell’addendum Bce che però va oltre i requisiti contabili Ifrs (che pure nell’Ue si sta cercando di diluire nel tempo) introducendo immediate richieste patrimoniali aggiuntive, nel caso gli istituti non si adeguassero all’aspettativa della Vigilanza di una svalutazione integrale dei nuovi npl (in due anni per quelli non garantiti, in sette per quelli garantiti).
Il Parlamento e il Consiglio Ue, con due pareri giuridici, hanno evidenziato che la Bce non ha il potere di fissare misure vincolanti per tutte le banche: un compito che spetterebbe invece ai legislatori.

Anche la Commissione Ue ha presentato proposte che divergono da quelle di Francoforte. Danièle Nouy, presidente della Vigilanza Bce, in audizione al Parlamento ha così aperto a modifiche all’addendum, sia nel principio del comply or explain sia nell’entrata in vigore (per il momento gennaio 2018). Ora si attendono le modifiche e le eventuali misure sugli stock. Secondo Bloomberg, un blocco di supervisori all’interno della Vigilanza Bce vorrebbe cambiare i termini dell’addendum, ma lasciando simili le richieste nella sostanza. Inoltre Francoforte starebbe studiando diverse opzioni per gli stock: accantonamenti graduali per gli npl non sufficientemente svalutati, l’estensione dell’addendum per un periodo più lungo rispetto ai nuovi npl, un calendar provisioning come misura di ultima istanza per le banche ritardatarie, un’applicazione limitata a parti del portafoglio npl. La Vigilanza prenderà le decisioni finali anche in base ai piani delle banche.

Intanto ieri la Bce nel rapporto di stabilità ha suggerito la creazione di una nuova piattaforma unica per sviluppare il mercato dei crediti deteriorati, oggi in mano a pochi fondi acquirenti. La piattaforma, che dovrebbe essere partecipata dagli istituti e non dagli Stati, ridurrebbe le asimmetrie informative e permetterebbe alle banche di spuntare prezzi più alti preservando il capitale.

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)



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