Che le pensioni (ed i pensionati) siano nell’occhio del mirino del Governo, è un fatto incontestabile. Contributi di solidarietà e blocchi, totali o parziali, delle rivalutazioni pensionistiche sono un dato di fatto che dimostra ampiamente l’assunto. Non è tutto.
Esponenti del governo, forze politiche, consulenti economici e fiancheggiatori vari del partito di maggioranza relativa prospettano ed auspicano interventi di ricalcolo delle pensioni (al ribasso, of course) o l’introduzione di nuovi e più estesi “contributi di solidarietà” o addirittura tagli lineari alle pensioni, sopra una certa soglia.
È stato anche presentato, da un variegato numero di parlamentari, un progetto di legge costituzionale (proposta di legge n. C3478) inteso a riformare l’art. 38 della Costituzione, all’evidente scopo di rimettere in discussione i trattamenti pensionistici già liquidati.
Tale proposta di modifica costituzionale, dietro il paravento letterale dell’equità, ragionevolezza e non discriminazione tra generazioni, alle quali si dovrebbe ispirare l’azione dell’Inps, nasconde il vero intento di sterilizzare il bilancio previdenziale: i pensionati più abbienti dovranno sacrificare una parte della loro pensione a favore di quelli più bisognosi, senza che il bilancio dello Stato pubblica ne sia gravato.
Sennonché i “pensionati poveri” sono quelli che non hanno versato contribuiti, o ne hanno versati pochi, in rapporto al trattamento goduto. Non c’è niente di male, anzi, che sia garantita anche a loro una vecchiaia dignitosa. Ma perché far pagare le loro pensioni ad altri pensionati, in una logica redistributiva, anziché dall’intera collettività attraverso la fiscalità generale? Si tratta, infatti, incontestabilmente di una spesa assistenziale e non previdenziale.
Ecco dunque, in tutta la sua gravità, il male che affligge il sistema previdenziale italiano: la commistione tra assistenza e previdenza. Già, perché molti trattamenti pensionistici, erogati dall’Inps, sono poco o nulla sorretti da adeguata contribuzione: pensioni integrate al minimo, baby-pensioni e, in generale, pensioni assistenziali e sociali. Ma anziché separare convenientemente le due categorie di spesa, si mantiene, anzi si aumenta la confusione tra esse.
Eppure, secondo l’art. 41 della legge n. 88 del 1989 , va assicurato l’equilibrio finanziario delle gestioni previdenziali. Dunque, il bilancio dello Stato non deve coprire con trasferimenti a carico della fiscalità generale la differenza tra uscite per prestazioni della previdenza ed entrate contributive: vanno invece adeguate le aliquote contributive.
Già, ma qual è il bilancio previdenziale? Coerenza vuole che, in un sistema previdenziale a ripartizione come quello vigente, in cui i contributi incamerati in un determinato periodo vengono utilizzati per finanziare le pensioni erogate in quello stesso periodo, l’entità dei contributi sia proporzionalmente commisurata. Ed è quello che prevede l’inapplicato (ma vigente) art. 41 della legge n. 88 del 1989, sopra menzionato. Ovvio che, invece, questa coerenza viene scardinata dalla confusione tra erogazioni previdenziali ed assistenziali. Oltretutto, la gestione assistenziale, pure affidata all’Inps, presenta contorni tutt’altro che ben definiti.
Il 3° comma, lett. c, dell’art. 37 della legge n. 88 del 1989 ci fa capire molte cose: una “quota parte” di tutte, indiscretamente, le pensioni è qualificata come assistenziale. Si tratta di un dato puramente empirico e convenzionale.
In concreto, è stata fissata una certa cifra nel 1988 (16.504 miliardi di lire) rivalutata annualmente. Nel 2016 si è trattato di 20,3 miliardi di euro che sono stati trasferiti all’Inps dal bilancio dello Stato, per coprire il disavanzo delle gestioni previdenziali (vd., sul punto, la relazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, flash n. 6, reperibile sul sito istituzionale www.upbilancio.it).
Ma quali sono le pensioni che hanno bisogno di questo sostegno assistenziale, e quali invece no? Quali più e quali meno? Non lo sappiamo. E come si fa a stabilire se, e quanto, aumentare le aliquote contributive per mantenere in pareggio il bilancio previdenziale, ex art. 41 legge n. 88 del 1989?
Nemmeno possiamo saperlo, se non sappiamo precisamente qual è il bilancio (strettamente) previdenziale, nella descritta “confusione assistenziale”!