La notizia non è di quelle che lasciano indifferenti. L’attentato all’oleodotto che trasporta il greggio al terminal di Es Sider, nell’est della Libia non ha determinato solo che il prezzo del petrolio sia schizzato in alto (il barile di Brent guadagna il 2,33% sul mercato di Londra e si porta a 66.77 dollari, mentre a New York il Wti rialza del 2.34% a 59.84 dollari). Neppure la considerazione che l’intera produzione nazionale libica sarà ridotta del 10% con circa centomila barili al giorno in meno può da sola spiegare la preoccupazione che in queste ore sta facendo interrogare più di un governo occidentale.
Si tratta infatti del primo importante attentato ad una struttura energetica dal 2011. In questi anni le diverse milizie erano intervenute, per ragioni economiche, determinando blocchi anche significativi ma nulla di simile era accaduto. Da non sottovalutare poi il fatto che l’attacco sia avvenuto in Cirenaica, nella zona cioè controllata dal generale Haftar che conta sul sostegno, fra gli altri, dell’Egitto, dei sauditi e dei francesi.
L’impressione è che questa esplosione abbia un significato politico e che nasconda quindi un messaggio forte. Nella confusione e negli scontri di questi anni, la produzione energetica era stata relativamente preservata, sia pure con una riduzione del quantitativo complessivo di barili.
L’attacco all’oleodotto segna un punto di discontinuità rilevante. È un episodio unico per quanto grave o un equilibrio si è rotto? Il destinatario del messaggio è Haftar o l’obiettivo è più rilevante? Per rispondere a queste domande occorrerà ancora un po’ di tempo. Gli interrogativi sono però sufficienti ad aumentare il livello di attenzione su quello che sta accadendo in Libia e in Cirenaica.