Park Geun-hye ha presieduto oggi la prima riunione del nuovo esecutivo quando sono trascorse due settimane dal giuramento come prima donna alla presidenza della Corea del Sud. A dominare l’incontro sono state le tensioni con la Corea del Nord. Pyongyang ha risposto con il taglio della linea rossa di comunicazione tra i due governi alle manovre militari congiunte sudcoreano statunitensi che schierano oltre 13mila uomini. E da oggi dovrebbe ritenere nullo l’armistizio del 1953 che regola i rapporti tra le due Coree.
Tensioni che la presidentessa deve affrontare senza un ministro della Difesa in carica. Il processo di nomina dovrebbe terminare domani. Al dicastero dovrebbe andare Kim Byung-kwan, sebbene sgradito ai liberali. Sull’ex generale a quattro stelle pesano infatti accuse di presunta evasione fiscale.
Oggi è stato invece il turno per la nomina di altri 13 colleghi d’esecutivo, tra cui il ministro degli Esteri, Yun Byung-se, uno dei padri della cosiddetta politica della fiducia con la Corea del Nord che, abbandonando la linea dura della precedente amministrazione Lee, lascia la porta aperta al dialogo sebbene condizionato dalla fine degli atteggiamenti aggressivi e delle provocazioni come la minaccia di attacco nucleare preventivo.
Mentre nella penisola saliva il tenore delle provocazioni e l’Onu votava nuove sanzioni contro il regime di Pyongyang di condanna al terzo test nucleare condotto lo scorso 12 febbraio, a Seul Park doveva fronteggiare l’ostruzionismo dell’opposizione liberale contro le nomine e la riorganizzazione dell’esecutivo.
In particolare le critiche hanno riguardato l’istituzione di un super-ministero per le scienze e la tecnologia, che nelle intenzioni della presidentessa sarebbe dovuto andare a Kim Jeong-hoon, il cui passato come consigliere della Cia ha provocato la levata di scudi di quanti ritengono inappropriato che chi lavorò con un servizio straniero di intelligence possa occuparsi di temi sensibili come lo sviluppo.
Non l’unico problema per il dicastero nel quale dovrebbero ricadere anche parte dei compiti della commissione per le telecomunicazioni, con il pericolo che l’accorpamento possa tradursi in un controllo governativo sulla stampa, già considerata molto vicina agli interessi del potere.