Sono nato in quella particolare generazione, definita xennials, cresciuta senza Internet e che si aggiornava su giornali e riviste. Ogni tanto, passando per le edicole, mi stupisco se scorgo ancora quotidiani in bella mostra. Tra vent’anni, nel 2037, probabilmente sembrerà ugualmente strano ai nostri figli avere a che fare con altra carta: le banconote.
Una delle critiche più forti che viene fatta alle valute virtuali è che non abbiano valore intrinseco. Da numismatico, quando guardo i miliardi di marchi tedeschi del 1923 o le stesse bellissime lire italiane con Caravaggio di pochi anni fa, oltre al valore storico e affettivo, vedo solo carta. E forse la cosa più importante e dirompente che ha portato il bitcoin è stata proprio il far sorgere questa domanda: che cos’è il denaro? E cosa gli dà valore?
Il bitcoin cambia i paradigmi a cui siamo abituati a pensare. Non più un ente centrale che emette carta, gettoni od oboli e gli imprime dall’alto un valore; bensì un programma decentralizzato distribuito tra vari computer del mondo che genera gettoni il cui valore è definito dai partecipanti. In termini semplici, i bitcoin sono proprio questi gettoni e possono essere toccati solo con una chiave segreta. Non c’è bisogno di una banca o di un intermediario. Chiunque può accedere da solo a questo mondo e, una volta creata la chiave, accettare e movimentare bitcoin. Come se fosse contante digitale.
Allo stesso tempo, usando una citazione da fumetto “da un grande potere derivano grandi responsabilità”, chiunque può essere la propria banca. Tutto ciò è fantastico, ma a che costo? La chiave (semplificando per facilitare la comprensione) è una serie di lettere e numeri. Se qualcuno la copiasse, potrebbe accedere ai bitcoin associati a quella chiave e appropriarsene indebitamente. Se la chiave fosse su un computer personale, e questo venisse infettato da un virus, il ladro potrebbe avere accesso alla chiave. Infine, un pensiero triste ma pratico sulla nostra mortalità: che succede in caso di decesso? Se la persona non ha dato preventivamente la chiave alla famiglia o agli eredi (con i rischi però di copia menzionati sopra), quei bitcoin non potranno mai più essere recuperati. Conio, la compagnia che ho co-fondato con Christian Miccoli, tra le altre cose risolve questo problema, usando un meccanismo a chiave multipla con procedura di recupero. Quindi, usando le giuste misure, è un rischio che può considerarsi ora nullo.
Paradossalmente, il rischio più grande è il non correre rischi. È difficile prevedere cosa accadrà al bitcoin tra dieci anni, ma è sicuramente immaginabile che, considerando il momento storico nel quale viviamo, sarebbe pienamente razionale investire una piccola somma (l’1 -2% del capitale) in bitcoin. Investimento ad alto rischio, e che potrebbe quindi andare male, ma allo stesso tempo a potenziale esplosivo: rarissimo trovare altri settori con ritorni che vanno dal 1.000% al 10mila% a medio-lungo termine. Inoltre, le valute virtuali prospereranno, ma il bitcoin potrebbe fallire. Non per motivi geopolitici, quanto piuttosto per avanzamenti tecnologici. Il primo vero motore di ricerca, l’AltaVista del 1995, ha fatto spazio a Yahoo del 2000 per arrivare a Google di oggi. Allo stesso modo, altre valute virtuali tecnologicamente più avanzate del bitcoin potrebbero emergere. Riguardo quest’ultimo punto, bitcoin oggi ha limiti importanti che ne impediscono la diffusione come sistema di pagamento globale: permette solo 3-7 transazioni per secondo, ordini di magnitudine inferiori, ad esempio, a Visa.
Bitcoin, quindi, come l’AltaVista del 1995? Non esattamente: appare infatti l’unica moneta virtuale in grado di diventare la Google di oggi, avendo innanzitutto introdotto molteplici benefici, dalla maggiore privacy alla non ripudiabilità della transazione. La ricerca, peraltro, non si ferma. Si stanno studiando soluzioni ancora più efficaci su un secondo strato, basato sul bitcoin sottostante, che possa abilitare nuovi scenari come la digitalizzazione delle valute nazionali o lo scambio azionario senza passare per i canali attuali. Oggi suona un po’ fantascientifico, ma lo stesso si direbbe del mondo di oggi se osservato da una persona del 1997.
L’Italia ha una grande occasione. Tra vent’anni, quando le banconote saranno un ricordo, potrà dire due cose: o di aver reinventato ancora una volta l’economia, o di essersi incamminata ulteriormente verso la periferia del mondo. E non è quest’ultima la storia che ci appartiene.
(Articolo pubblicato dalla rivista Formiche)