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Soldi pubblici per gli affari con l’Iran. L’allarme di Washington

irn, fiscal compact

L’Italia rischia un clamoroso fuorigioco. Da Washington e da Tel Aviv si guarda con attenzione, e con stupore, alle mosse italiane nel rapporto con l’Iran. Quando ancora imperversano le polemiche relative alle modalità con cui il regime di Teheran ha spento le proteste che avevano infuocato il Paese (con circa 3.700 arresti e non poche violenze) e nelle ore in cui l’Amministrazione Trump decide sulle sanzioni, cosa fa Roma? Sigla una intesa dal valore di 5 miliardi di euro che lo Stato garantisce in caso di sanzioni (altamente probabili e comunque decise già nelle prossime ore). La decisione era stata presa in occasione della Finanziaria non senza sollevare più di un interrogativo. Gli eventi successivi si sono incaricati di confermare tutte le perplessità.

IL CONTENUTO DELL’ACCORDO

L’intesa da 5 miliardi di euro tra Italia e Iran è finalizzata a rilanciare gli investimenti in tre settori-chiave: acquisto di beni e servizi, infrastrutture ed energia con il sostegno della newco Invitalia Global Investment.​ ​
Sarebbe un​ ​ulteriore tassello dell’applicazione del Joint Comprehensive Plan of Action, l’accordo sul nucleare iraniano del 2015, a cui hanno fatto seguito e missioni del governo Renzi (2016) e Gentiloni (2017) che hanno finalizzato accordi commerciali complessivi per 27 miliardi di euro​ ​e che però il presidente degli Stati Uniti ha già de-certificato lo scorso ottobre.​ ​
Oggi al Mef,​ alla presenza del​ ministro Pier Carlo Padoan e il collega iraniano, Mohammad Khazaei e i vertici di Invitalia e l’omologa iraniana Oietai,​ ​ci sarà la firma dell’accordo quadro​ ​che​ ​prevede l’apertura di linee di credito da parte di Invitalia in favore di due banche iraniane, la Bank of Industry and Mine e la Middle East Bank, per finanziare singoli progetti.
L’operazione è​ ​appunto​ ​resa possibile dalla nuova norma delle Legge di Bilancio che autorizza Invitalia ad operare, anche attraverso la​ costituita​ newco, per erogare servizi finanziari e assicurativi garantiti dallo Stato a favore degli operatori nazionali che esercitano la loro attività nei Paesi qualificati ad alto rischio, in questo caso l’Iran. L’Italia rischia​ quindi​ soldi pubblici sapendo di rischiare. In questo caso però il risultato (negativo) della scommessa è pressoché certo.

LE ULTIME NEWS DALLA CASA BIANCA

Il presidente americano Donald Trump – su indicazione dei suoi consiglieri per la sicurezza – sarebbe pronto a prorogare questa settimana il congelamento delle sanzioni verso l’Iran, quello previsto nell’accodo sul programma nucleare di Teheran.​ ​
Questa notizia è riportata dall’Associated Press che allo stesso tempo spiega come la decisione di rinnovare le concessioni alla repubblica islamica potrebbe essere accompagnata dall’introduzione di “misure mirate”. Nuove sanzioni, insomma, contro aziende e individui iraniani finora protetti dallo stesso accordo del 2015. Il presidente americano dovrà decidere entro venerdì e le fonti spiegano come nessuna decisione sia stata ancora presa​ anche se tutti gli osservatori a Washington danno per certo che l’Amministrazione darà un segnale forte al regime di Teheran. Con effetti negativi anche per l’Italia. Il ministro degli Esteri iraniano intanto è corso al capezzale di Mosca ed è in arrivo a Bruxelles dove la Mogherini ha organizzato una serie di incontri finalizzati alla messa in sicurezza del Jcpoa. D’altra parte se gli Stati Uniti procederanno con il pollice verso sarà difficile, se non impossibile, fare i conti con le nuove sanzioni. Tutti.

L’INTERROGATIVO

Quanto sono rilevanti gli interessi del business e quanta consapevolezza politica c’è in questa mossa italiana di impegnarsi economicamente con l’Iran? Sono stati calcolati i possibili danni per la finanza pubblica? Sono state messe nel conto le reazioni americane e israeliane? Si sa che questo tipo di accordi non sono stati fatti da altri grandi Paesi europei?È stata letta la nota della conversazione fra Trump ed il filo-iraniano Macron di pochi giorni fa? Questi interrogativi rimbalzano da Washington e sembrano come sassi che cadono nello stagno. Speriamo non siano macigni. Questo fuorigioco potrebbe costare un cartellino rosso e segnare un pericolosissimo passo nella direzione di una, almeno apparente, affiliazione alla sfera di influenza russa.



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