Per qualcuno sarà strabismo, per altri sarà uno sguardo lungo. Il fatto è che il Pd riparte da Milano, dove può vantare una amministrazione comunale, quella di Beppe Sala, di gran lunga più presentabile di quelle grilline di Roma e Torino, e lo fa scommettendo su un candidato ultra moderato (che a dispetto di un passato professionale nella tv commerciale si presenta politicamente “più a sinistra di Renzi”) e cercando – cosa più difficile, per sordità altrui – di parlare alla platea di Liberi e Uguali.
È questo in estrema sintesi quello che con la regia personale di Matteo Renzi è avvenuto per la presentazione di Giorgio Gori. E siccome tanto Luigi Di Maio che Matteo Salvini parlano da premier in pectore, lui che a palazzo Chigi c’è stato, ha voluto che l’iniziativa fosse molto chiara: “Milano, Lombardia, Italia: obiettivo governo”. Ed ecco quindi un jolly molto particolare speso sia per parlare al tessuto produttivo del nord sia per mettere a freno il tanto chiacchiericcio romano su presunte divisioni: la presenza di Carlo Calenda, ministro attivissimo sia sui social che al dicastero e che non aveva mancato di criticare il segretario del Pd (rivendicando tanto la gratitudine che la lealtà quanto la mancanza di fedeltà intesa come accettazione supina di qualunque proposta dell’ex premier). La foto di gruppo di Gori con Renzi, Sala e Calenda è certamente un buon biglietto di presentazione da spendere.
Lo spiega il segretario del Pd: i Cinque Stelle sono “l’incompetenza elevata a elemento di orgoglio”. Nel centrodestra “laddove c’era Fini, adesso c’è la Meloni, dove c’era Bossi in canotta adesso c’è Salvini in felpa e dove c’era Berlusconi, c’e’ Berlusconi”. Da qui l’invito agli elettori: “non credete a chi dice che è finito il tempo della politica e c’è spazio solo per i tecnici. Se si vogliono cambiare le cose c’è bisogno dell’impegno politico. Senza le competenze sbatti contro il muro”. E pazienza se, come sottolinea senza amarezza Renzi, “Gli editorialisti, i commentatori, hanno già votato”. La partita è aperta e lui la vuole giocare.
Il ministro Calenda gioca con noi, con il centrosinistra, sembra voler dire, anche fisicamente, con la sua presenza. Le sue parole d’altronde sono chiare. “Noi, non siamo rottamatori, siamo grandi costruttori, siamo stati il ‘governo della costruzione’ e tu Matteo hai dato questa spinta”, ha detto. Il punto politico per il Pd è di spiegare che il candidato alla presidenza della regione Lombardia può essere votato dagli elettori moderati e non leghisti ma anche dalla sinistra di Grasso e Bersani. Calenda è chiaro su questo. “Mi spendero’ per Gori e lo farò a maggior ragione anche contro un’idea identitaria e antropologica della sinistra per la quale se uno ha fatto il manager non può essere di centrosinistra”. Le prossime sfide elettorali rappresentano “una battaglia difficilissima che – spiega il ministro - il centro sinistra combatte controcorrente. È un momento storico di grande difficoltà per chi ha proposte concrete e riformiste”.
Il diretto interessato, Giorgio Gori, mostra ottimismo e realismo allo stesso tempo: “sono convinto che sarà una partita molto combattuta e che vinceremo, ma di poco. Per questo tutti hanno una grande responsabilità – conclude – dobbiamo essere ambiziosi, abbiamo la possibilità dopo 23 anni di cambiare pagina. Ogni cittadino può essere decisivo per convincere qualcun altro”. Il candidato di centrosinistra punta tutto sul cambiamento: “La Lombardia si vanta nella retorica di chi l’ha governata di essere speciale; il mio avversario Attilio Fontana dice di andare avanti come fatto finora: io dico no. Dobbiamo cambiare marcia e dobbiamo essere driver di un’Italia competitiva”.
La manifestazione del teatro Parenti si chiude pressapoco così: con grande orgoglio e con la voglia forte di tornare ad essere, come Pd, forza di cambiamento e innovazione. Il vento è contrario e il primo a saperlo è lo stesso Renzi che però non molla ed è, a dispetto di tutti i retroscenisti professionisti, di ingaggiare tutti i ministri e tutte le personalità che pure non hanno mancato di criticarlo. La presenza di Calenda non era e non vuole essere un’eccezione. Sarà così anche con Gentiloni e Minniti. Certo, nel capoluogo lombardo l’amarezza aveva un’immagine molto chiara, evocata spesso fra i protagonisti a microfono spento. La prima pagina del Giornale, quotidiano berlusconiano, con il titolo enorme “Grazie Grasso” per la scelta del neo leader della sinistra fu comunista di non sostenere Gori neppure dopo l’uscita di scena di Maroni. Il centrosinistra va avanti lo stesso e lavora per un’intesa fino alla fine evitando le polemiche. La fotografia di Milano oggi è comunque più nitida senza Grasso.