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Ci hanno tolto tutto, anche la rabbia! Vi spiego come

Sono trascorsi più di 100 anni dall’uscita de “Il capitale” di Karl Marx e più di 20 dall’uscita del saggio “Lo scontro fra civiltà” di Samuel Huttington. Cosa hanno in comune questi due testi? Sicuramente lo scontro perenne fra due entità, di carattere diverso, nonché l’attualità delle argomentazioni trattate. Sono state scritte tonnellate di pagine sull’argomento e non mi sembra il caso di addentrarmi nella disamina ulteriore che risulterebbe evidentemente tautologica.

La cosa interessante da sottolineare è che questi due testi rappresentano un punto di partenza per ipotizzare un terzo scontro che sta passando inosservato: quello fra generazioni, innescato e favorito dai detentori dello status quo, soprattutto provenienti dalla vecchia classe dirigente. Da questo retroterra si può tranquillamente affermare che la rottamazione è stato uno splendido atto di marketing politico per anestetizzare ancora di più le masse e mantenerle ad una certa distanza, anche se, tuttavia, la disillusione di un cambiamento e la remissività verso di esso rappresentano una delle più preoccupanti forme di contenimento della rabbia. Fortunatamente o sfortunatamente viviamo in un Paese, arrabbiato sì, forse fin troppo, ma la cui rabbia rimane rannicchiata dentro ogni uomo e viene espressa attraverso le più moderne forme e formule di comunicazione digitale che sono, peraltro, un’ottima metrica per testare non solo gusti, costumi, preferenze ma appunto anche la rabbia, per comprendere fin dove ci si può spingere. Un interessante esperimento sociale in divenire.

Nella grande congiuntura che stiamo vivendo quali sono le cause del generale assopimento delle masse e dei giovani in particolare?

È importante fare un’annotazione storica perché ricalca bene, su alcuni aspetti, ciò che stiamo vivendo. Egon Friedel fa cominciare la nascita della civiltà moderna dalla peste nera del 1348. In pochi anni questa pandemia estinse un terzo della popolazione europea tanto da far pensare ai contemporanei che fosse più facile contare i superstiti che i morti. Questa data è importante perché gli europei hanno visto aprirsi davanti a loro l’inferno in terra e furono costretti a render conto con una nuova categorizzazione dei fondamenti del loro vivere. Perciò gli europei sopravvissuti non poterono far altro che aggrapparsi a una tipica accentuazione della vita prima del morire. La credenza precedente era che qualsiasi sforzo fosse inutile, tanto la vita non era questa ma “un’altra”. Alcuni di questi elementi sono importanti per capire lo scontro fra generazioni in atto. Vediamo perché: il primo è la falsa credenza nei confronti di un mito, l’aldilà, dimenticando di accentuare lo sforzo per emanciparsi in questa vita. Il Decameron di Giovanni Boccaccio rappresenta il testo più esemplificativo a questo proposito perché è un incoraggiamento ad amare la vita prima della morte. Il secondo è uno shock che rompe un eccesso di positività (Han) ed implementa un nuovo paradigma, una vita activa (Harendt). Terzo, l’assuefazione allo status quo, baluardo del panopticon digitale.

Due dei tre elementi esposti prima sono presenti, in forme diverse, nella nostra attualità. Partiamo dal primo, ossia il mutuo declassamento in corso dei ceti medi e del nostro Paese con il beneplacito della nostra classe dirigente (il famoso “Tradimento delle elite” di Cristopher Lasch, profetizzato già negli anni ’80) e quindi la credenza nei confronti di un mito abbastanza di moda: l’uscita dalla crisi. Secondo, la sedazione delle masse e della rabbia nelle formule che ben conosciamo: marketing politico e forme più o meno innovative di propaganda che attecchiscono perché nel nostro Paese, in cui è in corso un attacco feroce alla cultura per eliminare ogni benché minima forma di creazione alternativa. Tutto ciò potrebbe tradursi e scatenarsi in una crisi, come mai non avviene? Perché manca la miccia: ovvero l’eccesso di negatività che, come nel caso della peste, ha generato un cambio di paradigma. Viviamo in un eccesso di positività, ovvero l’insieme di tutte le forme di benessere acquisite, di accentuazione dell’Uguale e non del diverso che caratterizzano la nostra società, livellandola in un limbo dal quale è difficile uscire se non attraverso shock, appunto, di grande portata.

La marginalizzazione del nostro Paese è dovuta quindi ad un mix di elementi ma la cosa più preoccupante è la mancanza di reazione. Queste circostanze mi ricordano molto la favola di Esopo; quando alla fine il contadino si accorge che le uova erano davvero d’oro, la sua bramosia lo condusse ad uccidere la gallina per averne sempre di più. Ciò sta accadendo con le migliori energie del nostro Paese, spolpiamole finché possiamo. La differenza è che siamo teste pensanti e non galline!

 

 

 

 


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