La pluri-dimensionalità mediatica
La nostra epoca deve affrontare numerose problematiche sociali ed antropologiche che cedono troppo spesso il passo al contingente, frivolo ed inutile. Il contingente si nutre di grandi quantità di informazioni, scollegate, rumorose che causano talvolta shitstorms, un fenomeno di massa che svolge una precisa funzione. Una delle conseguenze degli shitstorms è, infatti, distrarre l’attenzione verso problematiche che potrebbero potenzialmente essere di pubblico interesse. Sono quindi degli ottimi distrattori o distruttori di massa (critica), come per esempio la disputa montata per i sacchetti bio.
Ma il contingente non è tutto. Come esistono diverse dimensioni per l’Universo, così esistono diverse dimensioni anche nel mondo mediatico. Sono numerose le problematiche non trattate, anche inconsciamente, perché si è portati a pensare non ci appartengano e chi detiene il potere non ha nessun interesse nel favorire un confronto su temi sociali che probabilmente alzerebbero il livello di attenzione ben oltre la soglia “consentita”.
Le soglie sono superamenti oltre i quali c’è un cambiamento, di qualsiasi natura. Controllare le soglie significa placare ogni forma di reazione.
Nel “Ritorno al mondo nuovo” Huxley ben descrive le dinamiche della comunicazione di massa, allora non ancora così invasiva come quella digitale, che in sé non è né un bene né un male ma solo una forza che può servire al bene e al male: “Usate in certo modo, stampa, radio e cinema sono indispensabili alla sopravvivenza della democrazia. Usate in modo opposto, divengono le armi più possenti dell’arsenale dittatoriale.”
Forme evolute di atletismo lavorativo: il karōshi
Cosa accade quando all’uomo viene subdolamente tolta la capacità di pensiero critico e autonomo? Quando viene stimolato un conformismo da “gregge” che avvelena la capacità di ragionare e di compiere una scelta morale? Quando gli individui esistono unicamente in una modalità online piuttosto che offline, in bilico tra l’essere “incarnazioni di funzioni economiche” durante il lavoro o “cacciatori irresponsabili di divertimento” nel tempo libero?
Il processo sopra descritto rischia di portarci dritto all’inferno senza che ce ne accorgiamo. A tal proposito, il Giappone è sicuramente una avanguardia per quanto riguarda alcuni fenomeni che meritano di essere monitorati con attenzione. Il karōshi (morte per troppo lavoro) è uno di questi inferni artificiali, costruiti ad hoc per togliere tutto, anche il potere di dire “io”. Consiste in tutte quelle forme, spesso coercitive, di sovraccarico del lavoro che, essendo insopportabili psicologicamente e fisicamente dall’uomo, conducono inevitabilmente alla morte per sfinimento o al suicido (karōjisatsu) per effetto del super stress a cui si è sottoposti.
Questo nella terra del Sol Levante, nel più grande laboratorio di sperimentazione del mondo produttivo. Da qui partì la produzione just in time o la lead production. Evoluzioni delle congiunture del mercato della produzione, studiate nei manuali accademici, ma che, ad oggi, stanno assumendo forme di umiliazione psichica oltre che di riduzione della dignità.
Crescita, Profitto o Karōshi?
Già ora, stretti tra la disoccupazione e il precariato, alcune parole hanno assunto un significato illusorio che ci fa marciare ogni giorno al ritmo di una processione senza guida. Siamo dolcemente sedotti da parole che fanno leva su un’etica sociale che vuole prendere il posto del sistema etico tradizionale basato quei valori individuali una volta condivisi all’interno di comunità reali, di rapporti autentici in cui i diritti dell’uomo erano il fondamento di quelli della collettività e non il contrario.
Ci si accontenta del tranquillizzante mantra della “crescita”, che mai arriva se non a parole e che persegue comunque la logica del profitto ad ogni costo, anche della vita stessa.
Per massimizzare il profitto in un mercato in crisi economico-finanziaria si è scelto di sacrificare il lavoro e con esso i lavoratori. L’uomo-merce è la vittima prescelta e il modello giapponese mostra tutte le sue criticità con il karōshi e il karōjisatsu.
Siamo passati da una alienazione all’altra, dall’alienazione della fabbrica a quella del raggiungimento di obiettivi sempre più pressanti. Dalla padella del metodo Fordista-Taylorista alla brace di un modello che logora a livello psicofisico, tanto da diventare un fenomeno non più solamente studiato dalla sociologia e dalla medicina del lavoro, ma anche dal sistema giuridico. In Giappone sono chiamati i “guerrieri aziendali”, uomini e donne che super lavorano in quella che è ormai una guerra. Non è un caso che il giro d’affari delle bevande energizzanti sia notevolmente aumentato in questi anni.
Ora la scelta è soltanto nostra: ribellarsi alla delusione e finitezza della vita come Faust, aspirando all’infinito, o arrendersi passivamente come Oblomov, l’antieroe di Goncarov, aspirando al nulla.