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Papa Francesco e i rapporti fra gesuiti e francescani

Il cardinale Bergoglio, Papa Francesco, non è solo il successore di Benedetto XVI. E’ anche il primo pontefice non europeo, il primo Papa a scegliere di chiamarsi come il “poverello di Assisi” e, soprattutto, il primo Papa proveniente dalla Compagnia del Gesù.

Un ordine, quello dei gesuiti, che proprio per statuto rifiuta, di regola, il conferimento di cariche ecclesiastiche, alle quali ambiscono, invece, numerosi sacerdoti e porporati (è stato lo stesso Papa Francesco a definire il “carrierismo ecclesiastico” come uno dei “mali interni della Chiesa”). Ventimila membri, o poco meno, posti al servizio del Papa, al quale sono legati da uno speciale vincolo di obbedienza. Ma chi sono, veramente, i “seguaci” di Sant’Ignazio di Loyola?

Sant’Ignazio, il “guerriero” di Dio
Proveniente da una nobile famiglia basca, Ignazio di Loyola era un guerriero spagnolo, non credente, che trovò la fede in seguito alla battaglia di Pamplona del 1521, nella quale rimase gravemente ferito. Qualche anno dopo, poi, ripensando alla sua giovinezza ammetterà di essere stato “un uomo dedito alle vanità del mondo, e il cui piacere maggiore era quello di esercizi marziali, con un grande e vano desiderio di acquistarsi celebrità”. Da lì, poi, l’intuizione della fondazione di un ordine religioso, la Compagnia del Gesù, nel 1534. Un ordine, quest’ultimo, che almeno all’inizio andò incontro a numerose difficoltà, come dimostra il fatto che la Regola della Compagnia venne approvata solamente sedici anni dopo, nel 1550, da Papa Giulio III con la bolla “Exposcit debitum”. In breve tempo, però, la Compagnia vide crescere in maniera esponenziali i propri membri, attratti da uno stile di vita dove la missione (non si dimentiche che originariamente l’ordine dei Gesuiti nasce per la missione in Terrasanta) e la formazione culturale rappresentano gli aspetti primari (numerosi sono, infatti, gli allievi illustri dei gesuiti, soprattutto in tempi recenti).

Il rapporto con Francesco d’Assisi
La decisione del cardinale Bergoglio di chiamarsi come il fondatore dell’ordine dei francescani ha richiamato all’attenzione il rapporto tra San Francesco e Sant’Ignazio di Loyola. Che ruolo ha avuto il Santo di Assisi della vita dell’ex guerriero? A spiegarlo è padre Antonio Spadaro, gesuita e direttore de La Civiltà Cattolica, in un’intervista pubblicata su La Stampa: “Nella scelta del nome Francesco c’è il cuore stesso dell’esperienza dei gesuiti. Francesco era alla radice della vocazione di Ignazio, è leggendo lui che rimase folgorato. San Francesco è il modello del nostro fondatore, è un fondamento della sua conversione”.

Se San Francesco, quindi, sembra essere alla base dell’intuizione di Sant’Ignazio, sono invece i rapporti tra i due ordini a non essere particolarmente stretti. Secondo lo storico del medioevo Franco Cardini, infatti, “i rapporti tra i francescani ed i gesuiti non sono mai stati particolarmente stretti. Il nome del Papa indica un punto d’incontro fra due spiritualità che, pur senza entrare in conflitto, hanno avuto finora storia separata”. La scelta di chiamarsi Francesco, quindi, potrebbe dare nuova linfa al rapporto tra i due ordini, come dimostrano le reazioni entusiaste che provengono dai “vertici” francescani: “Se guardiamo al suo approccio semplice dalla moggia di San Pietro direi che è un gesuita francescano”.

Gli anni bui della Compagnia
Se col passare degli anni crescevano sempre più i membri della Compagnia, il cui apice numerico si ebbe, nel passato, intorno al 1750, cresceva anche il ruolo, piuttosto attivo, all’interno della Chiesa, divenendo così collaboratori preziosi di pontefici il cui potere era fortemente contrastato dai vari principi regnanti. Non deve stupire, quindi, che i gesuiti vennero cacciati dal Portogallo, dalla Spagna e dalla Francia. Fino al 1773 quando Papa Clemente XIV, dietro la pressione dei Borbone, decise di sopprimere la Compagnia. E numerosi furono i gesuiti morti nel periodo della soppressione. Sarà poi Papa Pio VII, nel 1814, far rinascere la Compagnia del Gesù dopo che alcuni raggruppamenti di gesuiti erano nel frattempo lentamente ricomparsi a livello locale.

I (difficili) rapporti con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
Sembra, però, che anche Benedetto XVI e, soprattutto, Giovanni Paolo II non provassero un’enorme simpatia per i gesuiti. Papa Wojtyla, approfittando della malattia del padre generale Pedro Arrupe, decise di commissariare l’ordine. Una decisione, senza precedenti, che venne vista da molti come un segno di sfiducia nei confronti dei gesuiti, tanto che, come riporta Armando Torno sul Corriere della Sera, il teologo Karl Rahner scrisse al Papa una lettera di “protesta”: “anche dopo avere pregato e meditato, non ci è stato facile riconoscere il dito di Dio in questa misura amministrativa, perché la nostra fede e l’esperienza della storia ci insegnano che anche l’autorità più alta della Chiesa non è esente da errori”. Ma anche Benedetto XVI ha nutrito, nel corso del suo pontificato, alcuni dubbi sull’azione della Compagnia. In occasione della’elezione del nuovo padre generale, Adolfo Nicolas, avvenuta nel 2008, Papa Ratzinger inviò, forse memore di come molti gesuiti, specialmente in Sudamerica, avessero “sposato” la teologia della liberazione, una lettera invitando i gesuiti ad una “maggiore fedeltà nel promuovere la vera e sana dottrina cattolica”.

La leggenda del “Papa nero” e la speciale obbedienza al Papa
Il “Papa nero”. Così viene chiamato, da sempre, il “capo” dei gesuiti, il padre generale. Una definizione, quella di Papa nero, che deriva dal colore della tonaca, dalla durata a vita dell’incarico e dall’influenza dell’ordine, storica ed attuale, nel cattolicesimo. Una definizione che, in particolare, sottolinea il peso, in termini di potere, del superiore dei gesuiti. Da qui forse, talvolta, tensioni ed incomprensioni con quello che qualche giornale ha presentato in questi giorni come il “Papa bianco”. Padre Giovanni La Manna, però, in un’intervista all’Huffington Post smentisce categoricamente la possibilità che possano verificarsi in futuro dei contrasti: “Credo che il nuovo Papa sia una grande persona, sia dal punto di vista spirituale che umano, e che avrà la maturità per evitare qualunque forma di conflitto. I gesuiti fanno un voto che va oltre l’obbedienza: si tratta del quarto voto di obbedienza al Papa. In base a questo voto, il Papa in qualunque momento può chiedere ai gesuiti un impegno a una missione e i gesuiti sono tenuti ad obbedire. Ma sono certo che non succederà: Francesco non creerà forme di conflitto nell’obbedienza al padre generale e a Sua Santità”.

Il coinvolgimento in Vatileaks
I gesuiti, come detto, sono considerati come uno degli ordini più potenti all’interno della Chiesa, se non, addirittura, il più potente. Non poteva mancare, quindi, il loro coinvolgimento all’interno di Vatileaks. Tra i vari documenti trafugati dal maggiordomo del Papa, infatti, si trova anche una lettera, scritta dal padre generale Nicolas, e diretta a Papa Benedetto XVI. Si tratta, in particolare, di una lettera di accompagnamento di una “denuncia” fatta da alcuni coniugi di origine olandese. Questi ultimi, infatti, mettevano in evidenza il ruolo giocato dal denaro all’interno della Curia e in alcune diocesi europee. Una lettera, però, che non conteneva alcuni nomi, se non quello dell’arcivescovo di Utrecht Willem Eijk. Ma, come sottolinea il vaticanista de Il Tempo Andrea Gagliarducci “il Papa non la tenne in considerazione. Eijk, infatti, è cardinale dallo scorso febbraio”.


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