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Rouhani prova a svelare l’Iran e sfidare i conservatori

iran

Nella Repubblica Islamica è in scena in modo permanente la dialettica tra ultrà conservatori e progressisti. Lo si è visto in occasione delle rivolte di capodanno, che i duri e puri del regime hanno bollato come un complotto straniero manovrato da potenze ostili mentre i moderati hanno ostentato comprensione nei confronti dei manifestanti, specialmente attraverso il loro presidente Hassan Rouhani che ha più volte dichiarato di comprendere le loro ragioni.

La disputa che promette di aprirsi sarà tuttavia di quelle che non faranno prigionieri. L’ufficio della presidenza della Repubblica ha diffuso i risultati di un’indagine demoscopica condotta nel 2014 dal Center for Strategic Studies, un gruppo di ricerca governativo. Le conclusioni sono sorprendenti: il 49,8% degli iraniani, sia uomini che donne, ritiene che l’hijab sia un affare privato e che il governo non debba intromettersi. Un ripudio bello e buono della politica del velo obbligatorio, pilastro del regime e biglietto da visita dell’Iran per tutte le donne politiche e diplomatiche straniere che viaggiano nel Paese.

Il fatto che Rouhani abbia atteso tre anni per diffondere questa ricerca indica che questo, per lui, è il momento di sfidare l’establishment conservatore, che si aggrappa a simboli come il velo e alla sua obbligatorietà per sancire la santità e l’irriformabilità della Repubblica islamica. Rouhani evidentemente deve aver fiutato il vento: le proteste cominciate il 28 dicembre scorso e proseguite in numerose città del Paese avevano preso di mira, oltre alle politiche di austerity del governo, anche il regime stesso, come è naturale per una popolazione giovanissima cui stanno stretti molti dei tabù e degli interdetti della teocrazia sciita.

Naturalmente se Rouhani vorrà sfidare i conservatori su questa materia avrà pane per i suoi denti. Giusto la settimana scorsa le autorità iraniane avevano annunciato di aver arrestato a Teheran 29 donne per aver violato l’obbligo del velo. Le donne avevano aderito alla campagna dei “mercoledì in bianco” lanciata da Masih Alinejad, l’attivista iraniana che ora vive in esilio e che dagli Stati Uniti esorta le sue concittadine a trasgredire l’imposizione e a farsi immortalare, in video o in foto, mentre sfidano l’ortodossia del regime. Il sito di Alinejad, “My Stealthy Freedom”, è stato lanciato tre anni fa e ora ospita, anche nelle sue articolazioni social, migliaia di istantanee di iraniane non velate e sorridenti che fanno il segno della vittoria.

Si annuncia dunque una sfida in punta di diritto. Con i giurisperiti islamici sciiti che cercheranno di attingere alla loro sapienza, e ai testi sacri della rivoluzione khomeinista, per ribadire che il velo è un imperativo per ogni musulmana che si rispetti, e il fronte moderato che, un po’ come stanno facendo gli islamici progressisti in tutto l’Occidente, tenterà di dimostrare che indossare il velo è una scelta da affidare alla libertà delle donne stesse.

Ma sarà anche una lotta di potere. Rouhani se vorrà procedere con le sue intenzioni dovrà sfidare la corporazione giudiziaria, una delle roccaforti del potere conservatore che da sempre è incline alla linea dura verso le trasgressioni alle norme religiose.

Rouhani è al secondo anno del suo secondo mandato. Gli restano tre anni per condurre una battaglia che potrebbe modificare il volto dell’Iran o, come è più probabile, lasciare tutto com’era prima.


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