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Ecco le parole del cardinale Parolin per celebrare i cinquant’anni della Comunità di Sant’Egidio

Di L'Osservatore Romano
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«Non smettete di tornare alla Parola di Dio»: è questa la consegna affidata dal cardinale Pietro Parolin alla comunità di Sant’Egidio in occasione delle celebrazioni per i cinquant’anni di attività, perché — ha spiegato — «l’ascolto quotidiano della Parola, dalla bella basilica di Santa Maria in Trastevere a ogni angolo di Roma e del mondo è stato il filo rosso della storia» del movimento internazionale di laici nato nel Sessantotto.

Presiedendo, a San Giovanni in Laterano, la liturgia eucaristica di ringraziamento al Signore, il segretario di Stato ha commentato il Vangelo della sesta domenica del tempo ordinario (Marco 1, 40-45) alla luce del carisma e delle opere della Comunità. «L’evangelista — ha esordito — narra l’incontro di Gesù con un lebbroso a Cafarnao nella periferica Galilea» quando «la lebbra era una malattia che oltre alla sua intrinseca gravità, escludeva per sempre dal popolo» e chi ne era affetto «era considerato una sorta di morto vivente».

Ma, la guarigione operata da Gesù libera «dalla segregazione», così come «liberare dalla segregazione e dalla solitudine, inserendo nel circuito della vita, è quello che fate da quando — giovani studenti — avete affrontato con passione le borgate romane, oltrepassando tante barriere», ha detto rivolgendosi direttamente ai presenti, tra i quali il fondatore Andrea Riccardi e il presidente Marco Impagliazzo. Con loro, l’arcivescovo vicario di Roma, Angelo De Donatis, rappresentanti della comunità in vari paesi, ambasciatori e cristiani di diverse confessioni.

Ripercorrendo le principali tappe del cammino compiuto da Sant’Egidio, il cardinale Parolin ha ricordato come «bambini, donne, uomini, poveri, anziani dalla vita dura» nelle periferie dell’Urbe percepissero «se stessi come il lebbroso di Cafarnao. Altro era il loro destino rispetto alla città, era quello degli esclusi. Dicevano: “vado a Roma” e se cercavano lavoro nascondevano le loro origini. Sembrava che ci fosse un muro invisibile o un abisso». Ma, ha aggiunto, «dai primi incontri con quel mondo è cominciata una storia della loro liberazione dalla “lebbra” dell’esclusione. Nella periferia, avete comunicato la Parola di Dio, avete nutrito folle di affamati di dignità e solidarietà, ed essi sono divenuti vostri fratelli privilegiati», perché «nessuno è escluso davanti a Dio». E oggi «questa storia continua in Europa, Africa, Asia, nelle Americhe».

Una vicenda, ha spiegato il celebrante, che però non riguarda solo la “lebbra” della povertà, ma anche quella «della malattia, come nel caso della cura dei malati di Aids in Africa», dove gli esclusi sono divenuti a loro volta «protagonisti d’inedite liberazioni di altri». Infatti, ha constatato, «avete creduto che la pace è possibile, che un popolo non è mai condannato a essere ostaggio della violenza e avete cercato di far crescere le speranze concrete di liberazione» dai conflitti. Per questo, ha detto ancora il segretario di Stato, «vi siete impegnati nell’avvicinare chi si combatte o si odia» e «vi siete fatti attenti ai feriti della guerra e della miseria: rifugiati e emigrati», grazie «ai corridoi umanitari per i profughi dalla Siria e dal Corno d’Africa».

Ritornando alla scena proposta dal Vangelo, il cardinale Parolin ha quindi fatto riferimento a quella «via della compassione insegnata e praticata da Gesù» che «è stata e dovrà essere sempre più — ha raccomandato — la strada da percorrere dalla Comunità». Infatti «alla luce della compassione, anche le nostre braccia, talvolta pigre e inermi, raggiungono e stringono chi è separato». Inoltre, ha osservato, «la compassione e la passione non sono disgiunte dalla pazienza, che è capacità di lavorare nella fede e nell’attesa». Proprio come fanno a Sant’Egidio: «non vi siete fermati di fronte al muro di quello che poteva apparire impossibile», nella convinzione che «l’amore di Dio non si ferma e non recede di fronte all’abisso che divide dai nemici, dai lebbrosi, dai poveri». E in tal modo è stato possibile, ha constatato, realizzare «il miracolo di un incontro senza confini, nelle varie periferie del mondo» per ricomporre «la famiglia umana oltre le sue lacerazioni». Così «quando avete guardato al sogno di un mondo in pace non avete accettato gli abissi ereditati dal passato» e «il sogno è cominciato a diventare realtà nel servizio quotidiano ai poveri», proseguendo poi nell’«impegno per la pace» e nella «lotta alla guerra, “madre di tutte le povertà”».

In questa prospettiva il porporato ha confidato di vedere «la passione per riconciliare i popoli, per tessere legami di fraternità fra cristiani e credenti di varie religioni, per tener vivo lo “spirito di Assisi”» che tutt’ora caratterizza la comunità di Sant’Egidio.

Ecco perché ancora oggi, ha concluso il cardinale Parolin, «il mondo globale ha bisogno» di questa realtà «radicata nel locale, ma anche capace di abitare la dimensione globale con fraternità».



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