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Il ricordo di Paolo VI, formatore della classe politica cattolica, che presto sarà Santo

Paolo vI

Educatore alla fede ma anche e soprattutto formatore della classe politica cattolica. Dialogava, dava consigli, faceva escursioni con gli stessi giovani: al cugino che aveva crisi di fede anticipò in una lettera, in sintesi, le linee educative che servirono poi a guida dell’operato della Fuci. E organizzava ritiri spirituali minimi, di un giorno al massimo. Sono solo alcuni dei tanti particolari, intimi e umani, che svelano la vera personalità di Paolo VI, emersi dalla giornata di studio organizzata dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium assieme all’Istituto Paolo VI, per celebrare i cinquant’anni dalla prima Giornata mondiale della pace voluta dallo stesso pontefice, il 1 gennaio ’68, nel bel mezzo delle contestazioni studentesche e poco prima che divampassero dagli Stati Uniti in tutto il mondo.

LA CANONIZZAZIONE

È di queste settimane infatti la notizia che preannuncia la canonizzazione di Papa Montini, quella cioè del riconoscimento di un miracolo da parte dei membri della Congregazione dei Santi, di cui ne hanno approvato l’intercessione all’unanimità. Ora manca solo l’approvazione definitiva di Papa Francesco, che si è già pubblicamente espresso, così da poter annunciare la data del riconoscimento ufficiale, ipotizzata per il prossimo ottobre, in contemporanea del Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani. Tema che sembrerebbe nient’affatto casuale, vista la passione e l’impegno di Paolo VI proprio sull’educazione dei giovani universitari, assieme all’altro grande punto centrale del suo pontificato, quello della pace. Fu infatti proprio nel periodo in cui Montini fu assistente spirituale della Fuci, dal 1925 al 1933, che si originarono le linee guida che in seguito, dopo la sua elezione a pontefice, indirizzeranno il cammino di tutta la Chiesa.

L’INFLUENZA IN FRANCESCO

“Il suo obiettivo era rendere i giovani fautori di pace, nella loro vita, nel lavoro, nella politica e nell’economia”. Così l’istituzione della giornata mondiale della pace, celebrata fino ad oggi: “Un gesto profetico”, ha spiegato la preside della Facoltà Auxilum, la prof.ssa Pina Del Core. Con un filo rosso però: avere messo in relazione simbiotica, al tema della pace, quello del riconoscimento della verità e allo stesso tempo anche dei diritti dell’uomo. “Perché educare alla pace significa presentare un valore personale ma anche per le nazioni”. È poi evidente come lo stesso Francesco abbia ripreso e di nuovo valorizzato il messaggio di Paolo VI, rilanciandolo in chiave di attualità ma mettendo al centro delle proprie le sue stesse identiche preoccupazioni. Quelle per un mondo dilaniato da conflitti e dalla mancanza di responsabilità verso il prossimo, la società civile e l’ambiente.

L’EDUCAZIONE DEI GIOVANI

“È noto quanto Montini abbia fatto sul tema della pace, basta leggere i suoi discorsi ma anche l’epistolario. Anche se in quegli anni stranamente non se ne parla. Si lamentavano però le violenze, che i gruppi universitari cattolici subivano. E negli ambienti della Fuci, anche se ufficialmente era apolitica e non prendeva mai posizione, non si era teneri col governo”, ha spiegato il professor Xenio Toscani, segretario generale dell’Istituto Paolo VI. Il rapporto di Montini con gli universitari fu infatti lungo, ben 17 anni in totale, in cui il futuro pontefice si impegnò per formare una “coscienza universitaria”, vale a dire critica, rigorosa, matura, responsabile e appassionata, cioè “contrapposta alle mode”, come spiegano gli organizzatori del convegno. Ma per il professor Toscani questa volontà iniziò ancora prima a Brescia, con i liceali. E tuttavia il suo magistero sarà in totale continuità con questo stesso metodo, segno che quei luoghi furono una “inaspettata fucina educativa”. In tempi in cui, inveisce il docente, “la religione non si insegnava nelle scuole, i toni erano anzi piuttosto ostili, i temi apertamente laicisti, e non pochi insegnanti erano massoni”.

LE LETTERE PRIVATE

“Credo che il sopravvivere nelle classi lavoratrici degli ideali giovanili sia cosa molto buona”, scriveva infatti Montini nelle sue lettere private. Dove spiegava che “chi vuole educare cristiani autentici ha il problema di ridurre la scienza alla carità, compenetrare fino in fondo il pensiero alla preghiera”. E dove si scagliava contro i “benpensanti che riuscivano sempre a trovare la ragione per dare torto a chi le ha prese”. Senza contare quando descriveva la debolezza dell’Azione Cattolica, su certe questioni sociali e politiche, come “indegna”, ha spiegato Toscani. Ma è in questo modo che chiamava tutto il clero italiano a fare da educatore alla classe dirigente cattolica. “Pensare bene, principio di intransigenza e di forza che ci è necessaria. Un sistema di idee però non basta per noi, occorre un sistema di vita. E la nostra vita sociale non può che costruirsi sulla carità. Partendo dall’amicizia, esercitata a partire dalla piccola cerchia dei conoscenti: come siamo amici? Come ci poniamo reciprocamente? Come ci impegniamo l’un l’altro a mantenere la parola, a spenderci in opere buone, a pregare reciprocamente? Senza di queste non possiamo produrre fiamme di apostolato”, era in sintesi il messaggio che Montini cercava di trasmettere ai giovani universitari, la cui assistenza spirituale era innanzitutto amicizia, diffusa in seguito in modo carismatico.

IL “PAPA DEI MOLTI INIZI”

Ma tra tutte le definizione date, come ad esempio da parte del segretario di Stato Pietro Parolin a Madrid nell’ottobre 2016, o a Roma nella Basilica di San Paolo fuori le mura lo scorso novembre (qui l’articolo di Formiche.net), che lo hanno indicato come il Papa del dialogo, dell’ecumenismo, della civiltà dell’amore, oppure il Papa pellegrino, o difensore della vita, ce n’è “una che gli si addice in modo eminente”, ha spiegato la professoressa Rachele Lanfranchi, docente emerita dell’Auxilium. Che è quella del “Papa dei molti inizi”. Perché “sottolinea l’audacia di Paolo VI nel tracciare nuove linee alla Chiesa”. Come con i viaggi apostolici, la prima visita all’Onu, l’introduzione dell’udienza del mercoledì, la ripresa costante della via Crucis al Colosseo a partire dal ’65. Oppure la nascita del Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace, fino all’introduzione del tema dello sviluppo nella Populorium progresso, argomento fino ad allora molto più in sordina nella predicazione cattolica. “Sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini”, ha infatti spiegato la docente. Per non parlare infine della questione ecologica, di cui sarà lo stesso Bergoglio a spiegare, dopo la promulgazione dell’enciclica Laudato Sì, che il primo a parlarne fu proprio Paolo VI.

LA GIORNATA DELLA PACE

La stessa Giornata della pace nasce a partire dall’enciclica Pacem in Terris, scritta soltanto pochi mesi dopo la sua elezione. Nel suo magistero la pace resterà infatti un tema costante, troppo spesso “minacciata in misura grave”. Perché, spiegava il pontefice, è “l’unica e la vera linea dell’umano progresso”. Perché è “nel genio della missione cristiana”, e perché “significa annunciare Gesù”. Lui stesso ha avuto esperienza delle due guerre mondiali: la prima da giovanissimo, a cui partecipò direttamente il fratello Ludovico. La seconda, con alle spalle l’esperienza diplomatica in Vaticano, e trovandosi nel bel mezzo della dolorosa esperienza nazista, con una conoscenza diretta delle dure vicende che si accavallarono in quegli anni.

GLI ANNI PRIMA DEL ’68

Quindi, il Concilio Vaticano II, la guerra fredda, il Vietnam, le marce di Martin Luther King, fino al pellegrinaggio a Fatima del ’67, a cui Montini prese parte proprio con l’obiettivo di implorare la pace: da lì l’invito a tutti gli uomini, di ogni credo religioso, a celebrarla costantemente. Tramite un testo che risale al dicembre ’67, diramato praticamente a gran parte delle maggiori istituzioni nazionali e internazionali, di cui ne parlerà poi per tutto il Natale, compresa la Messa celebrata a san Pietro. Vedendone poi l’adesione sia delle altre confessioni cristiane che dalla gran parte dei settori delle altre religioni, ebraiche, islamiche, buddhiste. E che infine culminerà nel capodanno del ’68. “Un messaggio che da cinquant’anni è più che attuale che mai, e che interessa tutti”, ha concluso la professoressa Lanfranchi. A cui ha fatto seguito la prof.ssa Hiang-Chu Ausilia Chang, docente emerita di Didattica generale: “Quella di Paolo VI è una memoria che si radica nel passato ma che si lancia nel futuro, di un grande Papa, che presto sarà santo”.



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