Oggi, 28 febbraio, viene pubblicata la bozza di Trattato sulla Brexit, in 168 articoli. Michel Barnier, incaricato per l’Unione europea del negoziato ne ha indicato i contenuti ieri, dopo la riunione del Consiglio Affari generali dei ministri a 27 (in gergo, art. 50) e prima di portarlo al collegio dei Commissari europei di oggi. Nel testo non ci sono grandi novità rispetto al “Joint Report” approvato dal Consiglio il 15 dicembre scorso e lo schema è semplice: diritti dei cittadini, regolamento finanziario, frontiera nord-irlandese.
Barnier ha trasformato il rapporto di dicembre in un testo giuridico per dare una spinta al negoziato. Infatti, da allora non ci sono stati progressi, e su vari punti persino nessuna discussione. A Londra e sui media britannici si vola sempre alto sui temi generali, mentre a Bruxelles si cerca di passare ai problemi concreti. Sembra un approccio burocratico, ma è invece propriamente politico, e abbastanza stringente, visto che a ottobre si prevede di chiudere.
FRONTIERA NORD-IRLANDESE
Regno Unito e Unione europea vogliono mantenere le condizioni di pace del Good Friday Agreement del 1998 e quindi non vogliono nessuna frontiera (hard border) tra Irlanda e Irlanda del Nord. Soltanto che se il Regno Unito esce dal mercato unico, una frontiera ci vorrà: dovrà allora essere da qualche altra parte, cioè tra Irlanda del Nord e Gran Bretagna.
Quindi la bozza di Trattato “Brexit” conferma l’opzione del paragrafo 49 del Joint Report, che prevede che all’intera isola dell’Irlanda si applichino le regole del mercato unico, a meno che il Regno Unito non individui “specifiche disposizioni” (una specie di zona particolare) per l’Irlanda del Nord. Poiché al momento non esiste alcuna “soluzione speciale” vale il successivo paragrafo 50 che indica la modalità di decisione prefigurata da Londra: non vogliamo una frontiera tra Irlanda del Nord e Gran Bretagna, a meno che non decidano in questo senso l’Assemblea e il Governo autonomi dell’Irlanda del Nord.
Questa soluzione del Trattato è coerente con il dibattito britannico degli ultimi tempi, segnato dalla voglia di un nuovo referendum per rimangiarsi il primo, dalla proposta del leader laburista Jeremy Corbyn di restare nel Mercato Unico secondo il modello svizzero o norvegese e dalle polemiche dei duri della Brexit a tutti i costi. È una soluzione comunque difficile, visto che manca un soggetto decisivo: Assemblea e governo nord irlandesi sono inattivi, da oltre un anno non si riesce a comporre un nuovo programma condiviso. Infine c’è la posizione politica del Democratic Unionist Party nord irlandese (DUP), che condiziona la maggioranza di Theresa May alla Camera dei Comuni. Il DUP non vorrebbe alcuna separazione anche di mercato da Londra ma non vuole neppure rimettere in piedi la frontiera con l’Irlanda e affossare la pace del Good Friday agreement (e dell’Unione europea). Anche il contorno denota difficoltà per Londra: i governi autonomi del Galles e della Scozia si preparano ad adottare nuova legislazione per riassorbire competenze – come pesca e agricoltura – che altrimenti passerebbero direttamente da Bruxelles a Londra con un effetto di riaccentramento statale.
IL RESTO SU CUI NON C’È ACCORDO
La bozza di Trattato rende operativi anche i punti del Joint agreement sui rapporti finanziari e sui diritti dei cittadini. È una parte in cui va notato il progresso del negoziato consolidato fino a dicembre, anche se non c’è più stata reazione britannica: dall’Euratom ai rapporti finanziari, il testo è scritto sugli accordi già presi.
Tuttavia, le divergenze sono ancora molte sul periodo transitorio. Il Regno Unito sembra ondivago sulla durata mentre l’Unione conferma la data finale del 31 dicembre 2020, anche perché coincide con la conclusione della programmazione dei fondi e dei programmi. Sui diritti dei cittadini la posizione è ugualmente ferma: si vuole la parità di trattamento fino a quella stessa data.
Poi viene del tutto esclusa la possibilità di uscire dall’Unione ma di rimanere dentro nelle materie più allettanti (cherry picking). Con tutto quello che si era sentito in campagna referendaria, ora i negoziatori britannici auspicherebbero persino una partecipazione britannica nel cuore del “burocratismo” di Bruxelles, cioè nei comitati di esperti che analizzano in via preliminare ed elaborano i temi che diventeranno oggetto di legislazione europea.
È una lista di ambiti che tende ad allargarsi, come la consapevolezza di aver votato un referendum da cui si tornerebbe volentieri indietro: si va dalla giustizia e affari interni agli accordi internazionali, dalla partecipazione e consultazione sulla pesca alla politica estera e di sicurezza. Anche su questo, la bozza di Trattato non prevede concessioni, come era già stato concordato a dicembre.