Se ci sono due vincitori, non possono essere trascurati i due sconfitti. Alla coppia Salvini–Di Maio si oppone infatti l’immagine di Renzi–Berlusconi. Se il primo è stato velocissimo nel prendere le contromisure dimettendosi e mettendo il Pd al riparo da tentazioni di inciucio, il gran capo del centrodestra che fu mostra una difficoltà in più.
L’ex Cavaliere ha superato gli ottant’anni e i tempi della rivincita non sono un dettaglio. Come se non bastasse, la sua sconfitta ha un sapore doppiamente amaro. Nelle urne non è stato battuto solo il suo partito ma anche la sua stessa idea di leadership coltivata con incredibile successo per quasi un quarto di secolo.
Berlusconi si ritrova quindi nella desolante situazione di essere “circondato” da una maggioranza di parlamentari che è già saltata sul carro di Salvini. Chissà se il tycoon ricorda gli ammonimenti del suo più leale (e capace) collaboratore, Gianni Letta. Il fatto è che Berlusconi, pur sempre lucido, appare ai suoi quasi catatonico.
Politicamente immobilizzato. La stessa idea di confermare i capigruppo uscenti, Brunetta e Romani, è percepita come il segno della incapacità di spezzare una continuità che, dopo il 4 marzo, risulta incomprensibile. Se gli elettori hanno punito il partito, bisognerebbe dare il segnale di voler accettare l’indicazione emersa.
Insomma, un leader vecchio, battuto e con le spalle al muro. Stretto fra l’intraprendenza di Salvini (aiutato dall’abilità politica di Toti) e la meschinità di una parte del suo gruppo dirigente, Berlusconi deve rompere l’assedio. Per farlo ha bisogno di recuperare la fantasia e sfidare la prevedibilità.
L’apertura al Pd è un nonsense così come lo è lasciare alla Lega il monopolio della relazione con Di Maio. E a pensare che lui, fondatore di un enorme impero televisivo, era stato uno dei primi a cogliere il valore dell’immagine del giovane trentenne di Pomigliano d’Arco…