Luigi Di Maio come Matteo Renzi? Senza voler mancare di rispetto ad entrambi, il paragone inizia ad essere particolarmente calzante. Il leader del Pd è arrivato al governo surfando sulle onde a lui assolutamente favorevoli. L’elettorato lo avrebbe infatti premiato con il 40% di consensi alle elezioni europee. Quel risultato clamoroso si può dire oggi, con il senno del poi, fu forse l’inizio della fine del governo Renzi. L’avere questo enorme vantaggio, una maggioranza relativa così schiacciante, lo aveva indotto ad intraprendere la sfida del referendum sottovalutando che se il Pd aveva il 40%, tutti gli altri valevano il 60%. Il 4 dicembre del 2016 la matematica ha battuto la politica e di lì in poi è successo tutto quello che abbiamo visto fino alla erosione del patrimonio elettorale arrivato sotto il 20%. Nessun successo è per sempre e qualunque maggioranza relativa è alla fin fine una minoranza.
Per il Movimento 5 Stelle il ragionamento non è diverso. Se tutti i media si sono sperticati a spiegare la “vittoria” di Di Maio, vale forse la pena di ricordare a tutti, anche a chi scrive, che i pentastellati hanno ottenuto il 32%. E se era minoranza il 40%, non c’è bisogno di spendere troppe parole per spiegare che il 68% è largamente superiore al 32% (più del doppio). Se non si può negare l’importanza del successo ottenuto da Luigi Di Maio, allo stesso modo, e con la stessa onestà intellettuale, non si possono leggere le dichiarazioni ultimative circa la ineluttabilità di un esecutivo a guida del Movimento alle condizioni da loro indicate.
Il richiamo alla volontà popolare, oltre che tecnicamente improprio, sembra confermare tutti i dubbi circa la vocazione populista della formazione fondata da Beppe Grillo.
Citare poi “la squadra di governo votata dal popolo” è un tale obbrobrio costituzionale da suggerire l’impossibilità tecnica di poter giurare sulla Costituzione per evidente ignoranza. Cui prodest alzare i toni in questo modo?
Spaventa la dittatura della maggioranza, figuriamoci la dittatura di un terzo sui due terzi. Il giovane leader pentastellato non può richiamarsi a De Gasperi e alla dottrina sociale della Chiesa e poi, subito dopo, fare la faccia feroce di chi detta le condizioni per la legislatura. Il tanto criticato Renzi ha compiuto la sua parabola (almeno quella vista sin qui) in tre anni, Di Maio potrebbe consumarsi in tre mesi. Non glielo auguriamo.