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Libia. Un Paese nel caos e i tentativi dell’Onu di indire elezioni libere e credibili

È tornato d’attualità il tema della Libia in questi giorni di indagini da parte delle autorità francesi. Indagini che hanno messo in luce le malefatte di Nicholas Sarkozy, che si sarebbe fatto finanziare generosamente la campagna elettorale del 2007 dal rais Gheddafi ma poi ha pensato bene, con l’intervento militare del 2011, di togliere di mezzo un testimone scomodo, lasciando al suo posto il caos.

Èd è al caos di questi ultimi sei anni che l’inviato dell’Onu per la Libia Ghassan Salame ha l’ingrato compito di trovare rimedio. Ieri Salamé è stato ascoltato in videoconferenza dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu e ha ribadito il suo piano, che poggia sulla convocazione quest’anno di nuove elezioni. Magari aprendo le urne entro la prima metà del 2018, come avevano concordato il premier libico Fayez al-Sarraj e il generale Haftar nel summit di Parigi del luglio scorso convocato da Emmanuel Macron.

“Per le Nazioni Unite, lavorare perché si possano tenere elezioni libere e credibili prima della fine dell’anno è la principale delle nostre priorità”, ha detto Salamé ai suoi interlocutori collegati dal Palazzo di Vetro. Ma ha anche aggiunto che “è vitale che prima che queste elezioni abbiano luogo siamo certi che siano inclusive e che il loro risultato sia accettato”.

Il fatto è, e Salamé lo sa benissimo, che indire elezioni nelle condizioni attuali sarebbe, come minimo, un rischio. Non solo perché la violenza impera nelle strade e l’industria dei sequestri è florida. È lo stesso Salame a riconoscere le difficoltà sul cammino. “La povertà continua e i libici di classe media mandano i loro figli a lavorare”, ha sottolineato l’inviato nel suo intervento. “Il governo è in serie difficoltà finanziarie ed è incapace di fornire servizi alla gente nonostante il fatto che il paese stia producendo un milione di barili di petrolio al giorno. Sale anche la preoccupazione per le minacce dell’IS e di al-Qa’ida che stanno ancora effettuando attacchi mordi e fuggi, mentre corpi vengono trovati in diversi posti, inclusa Tripoli”. In questo quadro impietoso non poteva mancare la corruzione, che richiederebbe una cura da cavallo: per Salame “questo sistema deve essere distrutto. Le risorse devono essere distribuite per la costruzione di uno Stato forte e equo per tutti, e non per i solo portafogli di pochi”.

Un quadro devastante, dunque, che viene confermato dal vice-direttore per il Medio Oriente e il Nord Africa di Human Rights Watch, Eric Goldstein. “La Libia non potrebbe oggi essere più lontana dal rispetto della legge e dei diritti umani, per non parlare del mostrare condizioni accettabili per libere elezioni”. Non sussistono le condizioni per chiamare i libici al voto, nonostante proseguano incessanti le operazioni di registrazioni degli elettori.

“Le autorità”, prosegue Goldstein, “devono essere in grado di garantire la libertà di assemblea, di associazione e di parola a chiunque partecipi alle elezioni”. E chi può farlo, se le istituzioni sono sotto ricatto? “Gruppi armati”, aggiunge Goldstein, “hanno minacciato, intimidito, e attaccato giudici, procuratori, avvocati, e funzionari governativi. (…) Le corti libiche non sono in posizione di risolvere dispute elettorali”. Inoltre, “elettori, candidati e partiti politici” sono a rischio di “coercizione, intimidazione e discriminazione”. Insomma, conclude Goldstein,, “la cornice legale per un’elezione rimane opaca”.

Se le Nazioni Unite persevereranno nell’intento di tenere in Libia elezioni quest’anno prima di aver generato le condizioni per un voto sicuro, e riusciranno a ottenere dei risultati tangibili, sarà un vero miracolo. Oppure, più facilmente, si sarà prodotto nuovo caos in un Paese che dal 2011 non conosce pace. La strada di Salamé è tutta in salita.


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