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Perché questa Troika fa davvero paura

Protestare contro la ‘troika’ (Banca centrale europea, Commissione europea, Fondo monetario internazionale) è di moda in Europa tanto quanto lo era in America Latina ed Asia prendersela con il Fmi all’epoca delle crisi debitorie che hanno avuto l’epicentro nei due continenti (rispettivamente alla fine degli Anni Ottanta ed alla fine degli Anni Novanta).

Il riassetto strutturale

Allora, come ora, le proteste erano principalmente rivolte contro le politiche ‘di riassetto strutturale’, e l’‘austerità’ che esse comportavano. Allora se ne sono fatti portavoce numerosi economisti non soltanto dell’America Latina e dell’Asia ma anche degli Usa (ad esempio Stiglitz e Krugman) e dell’Europa (ad esempio Chervel). Con il senno del poi, non tutte le critiche erano giustificate: Paesi come il Messico, il Brasile, la Corea e la Malesia che hanno seguito rigorose politiche di ‘riassetto strutturale’ hanno da anni forti tassi di sviluppo che sanno coniugare con una buona dose di equità.

Austerità senza creascita

Alla ‘troika‘, però, si deve rimproverare non soltanto un’‘austerità’ che non sembra coniugata con ‘riassetto strutturale’ (e con crescita) ma anche scarsa competenza finanziaria ed una miopia acuta. Lo sta mettendo a nudo la crisi di Cipro (di cui non si vede ancora l’uscita); essa è stata, in buona misura, innescata non solamente dall’opacità delle banche cipriote e dalla eccessiva disponibilità dei governi ciprioti ad ospitare flussi di capitale di dubbia provenienza, ma anche da decisioni prese dalla ‘troika’ nell’ottobre 2011. Quando venne messo a punto uno dei ‘salvataggi’ della Grecia, allora boccheggiante e sull’orlo dell’insolvenza.

La decisione dell’haircut greco

In una notte di intensi negoziati venne presa la decisione (d’accordo con il governo di Atene, ma senza che quello di Cipro ne sapesse nulla) di varare quello che, con una punta moralistica, è stato chiamato il Private Sector Involvement Program (PSIP). Pare che l’idea fosse della Bce. In breve chi aveva pensato di ottenere forti rendimenti dai guai della Grecia, avrebbe pagato parte del costo del ‘salvataggio‘ con forte taglio (tra il 50% ed il 75%) del valore nominale delle obbligazioni greche nelle loro scritture contabili. Si pensava di colpire così ‘profittatori’ britannici, francesi ed anche tedeschi.

Le critiche al piano della Bce

Sembra che l’idea sarebbe venuta dalla Bce. Pare che l’allora rappresentante dell’Institute of International Finance (IIF), Charles Dallara, abbia avvertito che istituti di Paesi di piccole dimensioni avrebbero sofferto moltissimo. Dallara non era solo: all’interno della stessa Bce, si erano levate voci, ad esempio, quella dell’economista Francesco Mongelli, il quale ha appena pubblicato un dotto paper (l’Occasional Paper n. 144) in cui non si fa riferimento all’’evento’ specifico (pour cause!) ma si sottolinea come le interdipendenze tra banche nell’area dell’euro provochino effetti a catena di difficile ‘governance’.

La miopia dei leader europei

C’era, però, fretta di concludere. Anche a ragione di elezioni alla porta in vari Stati europei e Länder tedeschi. Insomma, il problema venne posto ma, come Rossella O’Hara in ‘Via col Vento’, la decisione fu ‘Ci penseremo domani…domani è un altro giorno’. Uno dei ‘ padri intellettuali ‘ dell’euro, Paul de Grauwe (ora alla London School of Economics) sottolinea che, da quando è scoppiata crisi, i leader europei sono diventati miopi.

Il tracollo della Laiki

In questo capo, una delle maggiori banche di Cipro, la Laiki, (ora fallita) ha perso in una sola notte ben 2.3 miliardi di euro – cifra che può sembrare trascurabile a grandi istituti internazionali ma che è molto consistente per un Paese il cui Pil non sfiora i 17 miliardi di dollari ed è pari alla metà di quanto la ‘troika’ spera di poter ottenere dal settore privato cipriota. Il tracollo della Laiki ha messo per terra istituti ciprioti ancora più fragili.

L’Italia contagiabile

La vicenda, di cui poco parlano in questi giorni i quotidiani italiani, mostra come la gestione della crisi è sfuggita di mano. Lo scrivono a tutto tondo Robert Engle della New York University, Eric Jondeau e Michael Rockinger nel lavoro, in corso di pubblicazione, per i tipi dello Swiss Finance Institute ‘Systemic Risk in Europe’. Se ne deduce che pure l’Italia sarebbe ‘contagiabile’. Non si parla di queste cose sui giornali ma non sono un segreto nei Palazzi Romani. Alla Farnesina (dove ci sono pochi motivi per stare allegri) si dice con una punta di malizia: ‘Diamo agli indiani Monti e Draghi in cambio dei marò…se se li prendono’.



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