Lorenzo Fontana è vicesegretario della Lega e molto più di Giancarlo Giorgetti può essere considerato il vero braccio destro di Matteo Salvini. L’attuale vicepresidente della Camera è stato in questi anni al fianco del leader ed amico a Bruxelles, in Parlamento europeo. Hanno cementato un grande feeling, politico e personale. Quando parla Fontana, parla Salvini. Ecco perché la sua intervista a La Stampa sulle sanzioni alla Russia merita grande attenzione. Riflette la posizione della Lega, senza dubbi.
D’altronde l’idea di intervenire come Italia per togliere la pressione su Mosca dopo l’invasione della Crimea e il conflitto nell’Ucraina dell’est non è una novità. Quello che colpisce è come questa convinzione venga esibita senza tenere un minimo conto le responsabilità del Paese anche a livello internazionale.
Sorprendente poi è la lettura di politica estera e del diritto. La Russia ha infatti violato tutte le leggi possibili ed immaginabili violando la sovranità di uno Stato. Le sanzioni furono infatti la misura di ripiego (la soluzione morbida e dialogante) per non rispondere militarmente.
Orbene, Fontana (quindi Salvini) spiega la sua versione. “Bisognerebbe dire bene come stanno le cose. Sappiamo – dice a La Stampa – che in Ucraina c’è stato un mezzo colpo di Stato in un territorio con forte presenza russa. Se ci fosse un referendum vorrei vedere come andrebbe a finire”. Altro che processo di Minsk, la posizione leghista è più estrema di quella di Putin e Lavrov (raffinato ed abile diplomatico, lui).
Ma oltre a spiegare che gli ucraini hanno violato le prerogative della Russia nel loro stesso territorio, il vicepresidente della Camera fa lezioni di trumpismo all’ambasciatore Volker (inviato del presidente Usa per la questione Ucraina). Senza conoscere la biografia di quella che è una delle figure più rappresentative dei Repubblicani, lo accusa di essere vicino alle posizioni di Obama, una sorta di traditore di questa Amministrazione. Il legame leghista con Steve Bannon – ex ideologo trumpiano – produce una lettura eccentrica della politica americana ed indice ad un rischio enorme: quello di confondere i legami fra Cremlino, Le Pen e faccendieri vicini a Bannon con quella che è (ancora) la postura internazionale degli Usa che trascende i diversi inquilini protempore della Casa Bianca. La “visione” di Salvini e dei suoi – al di là della fantasiosa ricostruzione dei fatti (come sull’Ucraina) – è legittima sul piano democratico, ci mancherebbe. Rappresenta però un vulnus nel posizionamento strategico italiano. Ne vogliamo parlare o facciamo finta di nulla?