Questa storia si racconta meglio partendo dalla fine, ossia da un grafico pubblicato dalla Fed di S.Louis che ci consente di scovare il dettaglio dove si annida la spiegazione della debole pressione sui prezzi nonostante il diluvio monetario piovuto sugli Usa.
Le due curve rappresentano il livello del rendimento del titolo annuale del Tesoro, che cresce mano a mano che la Fed alza i tassi di riferimento, e il tasso che la Fed paga alle banche sulle riserve bancarie. Notate che la Fed ha iniziato a remunerare questo tasso solo di recente, visto che storicamente è stato sempre intorno allo zero.
Perché mai la Fed, che ha sempre tenuto la remunerazione della riserve bancarie a zero o quasi ha iniziato a pagare un rendimento alle banche? La risposta l’ha data David Wheelock, della Fed di S. Louis: “È stato necessario pagare gli interessi su tali depositi al fine di evitare un’eccessiva crescita monetaria unicamente a seguito dell’iniezione temporanea di liquidità nel sistema bancario durante la crisi finanziaria”.
Diamo per scontato che sappiate già come funziona il rapporto fra una banca centrale e una banca commerciale (ma se così non fosse qui trovate una guida facile per orientarvi), ma per farla breve, ricordo che queste ultime tengono le loro riserve presso la banca centrale. A sua volta la BC quando ad esempio acquista titoli pubblici, lo fa aumentando le riserve della banche commerciali, di fatto accrescendo potenzialmente la liquidità del sistema. Le banche commerciali infatti, sulla base della quantità di riserve di cui dispongono, decidono se e quanto dare a prestito all’economia, “creando” la moneta bancaria che poi genera i depositi di conto corrente sotto forma di prestiti a famiglie e imprese. Ma tutto questo accade potenzialmente, appunto. Le banche, essendo imprese come le altre, daranno a prestito se troveranno conveniente farlo. Quando ad esempio, come si vede nel grafico sopra, lo spread fra i ricavi dei prestiti a breve e la remunerazione delle riserve era ampio, le banche erano di sicuro stimolate a trasformare le proprie riserve in crediti all’economia, e in tal modo aggiungendo pressione inflazionistica al sistema. Una situazione che quest’altro grafico rappresenta bene.
La monetizzazione viene definita come l’attitudine della banca centrale a trasformare i debiti ad alti interessi del governo in moneta, ossia o contante vero e proprio oppure riserve bancarie, che al contante sono assimilate in quanto non generano interessi. O meglio, non generavano interessi. Notate dal grafico sopra come negli anni ’70 la notevole monetizzazione del debito ebbe un effetto chiaro sulle dinamiche inflazionistiche che invece non si osserva negli anni più vicino a noi, dove a un tasso di monetizzazione persino più intenso di quello degli anni ’70, corrisponde un’inflazione fredda. Perché? La risposta più facile forse è quella giusta. Alle banche commerciali è risultato maggiormente conveniente incassare il rendimento sulle riserve invece che quelli del mercato monetario. In sostanza la Fed, alzando i tassi di remunerazione della riserve, è come se avesse “sterilizzato” l’aumento dei tassi di interesse che avrebbe allargato lo spread fra il tasso delle riserve e quello di mercato, e così facendo può aver raffreddato l’intenzione delle banche di dare a prestito. Queste ultime troveranno di sicuro più conveniente incassare i soldi sicuri della Fed piuttosto che avventurarsi concedendo prestiti, almeno finché gli spread stanno vicini. L’unica differenza è che nel secondo caso i profitti bancari li paga il mercato. Nel primo i contribuenti. Ma tanto neanche lo sanno.
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