Nell’anno in cui la Croazia avvia la procedura per entrare nell’Unione europea, e a cinque anni ormai dalla proclamazione dell’indipendenza del Kosovo (2008), i Balcani tornano protagonisti della politica internazionale.
Una seconda occasione per l’Italia?
In Europa se ne discute poco. In Italia ancor meno, pur essendo il nostro Paese la frontiera naturale tra il nucleo nord-occidentale del continente e la periferia sud-orientale. Negli anni immediatamente successivi alla fine della Guerra fredda, errori di calcolo e veti incrociati portarono la nostra politica estera regionale ad una condizione di subalternità e passività. Sarà bene trarne qualche lezione, scontando la differenza che gli assetti regionali negli anni Novanta venivano regolati purtroppo con le guerre, mentre oggi il capitolo più importante è quello energetico, della lotta alla criminalità internazionale e del terrorismo.
Il gas del Caspio passerà di qui
Entro giugno dovrà essere resa nota, per esempio, la scelta della rotta del gas del Mar Caspio, che, giunto in Turchia, potrà prendere la strada del Nabucco o quella del TAP o Transadriatic Pipeline (un accordo Italia-Grecia-Albania). Al consorzio che dovrà prendere la decisione partecipano la compagnia di Stato azera, la Total, la BP e la norvegese Statoil. Sul punto Vladimir Socor della Jamestown Foundation nota una “neutralità politica” della Commissione, che in precedenza sembrava sbilanciata sul Nabucco ovest. A far pendere la bilancia verso il TAP sarebbe, secondo Socor, l’uscita della tedesca RWE, in crisi per la fine del nucleare tedesco, dal consorzio Nabucco; alcuni errori tattici della capofila austriaca OMV e la percezione di un maggiore favore russo verso TAP piuttosto che Nabucco-ovest.
Il grande gioco è più energetico che militare
Germania e Russia: i protagonisti della politica balcanica di sempre escono allo scoperto. L’Italia si inserisce, piuttosto abilmente a dire il vero, tra queste grandi potenze, puntando a coinvolgere le piccole potenze regionali e presentandosi come potenziale “hub” per l’Europa settentrionale. Ma Roma non è l’unica “terza forza” che può entrare in gioco. Senza contare naturalmente il ruolo degli Stati Uniti, che pure appaiono piuttosto distaccati dall’area, limitandosi apparentemente a svolgervi un ruolo militare. Anche Israele è presente infatti nei Balcani.
Israele nei Balcani
Nonostante i numerosi problemi di sicurezza nell’immediata vicinanza, Israele considera questa regione come una seconda cerchia difensiva, dove combattere una guerra di attrito con Iran ed Hezbollah, considerata come il braccio globalista della politica estera di Teheran. Forse c’è la necessità di impedire il ripetersi degli errori commessi un pò da tutti durante la guerra di Bosnia, quando ci fu una grave sottovalutazione del pericolo jihadista. E’ la tesi di John Schindler, del Naval War College, che sul tema ha anche scritto una mirabile sintesi (pubblicata da Libreria editrice goriziana). Ma secondo vari esperti antiterrorismo, questa volta l’allerta è alta, ed è in gran parte merito di Israele, che per esempio ha cooperato nell’indagine sugli attentati di Burgas (18 luglio scorso) che portarono alla morte di alcuni turisti israeliani. Le indagini si sono concluse con un atto di accusa in piena regola ad Hezbollah.
Il ruolo della contesa turco-iraniana
Rapporti militari e diplomatici tra Israele e Romania, Bulgaria e Grecia si sono rafforzati negli ultimi anni. Più che una partita per “marcare stretto” l’Iran, anch’essa impegnata nella corsa ai Balcani, si tratta di una necessità oggettiva di sicurezza, in particolare per il venir meno dopo il 2010 dell’asse con la Turchia. Secondo il sito Balkanalysis.com, se la ricucitura tra Ankara e Tel Aviv dovesse compiersi, è possibile che Israele possa interrompere l’attività diplomatica-militare nei Balcani e nel Caucaso, il “giardino di casa” turco. Naturalmente, se Ankara lo richiedesse esplicitamente, sulla base di un’alleanza per modificare il Medio Oriente e rovesciarne gli equilibri ai danni di Teheran.