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Da social media a social politics. Ecco come cambia Twitter

Di Sara Bentivegna
Trump

Se l’elezione di John Kennedy è ancora ricordata come la prima elezione ottenuta grazie (anche) al mezzo televisivo, l’elezione di Donald Trump nel 2016 (e in precedenza la conquista della nomination) può essere certamente ricordata per l’uso sapiente e disinvolto di Twitter. L’attribuzione di tale centralità non si associa, semplicisticamente, allo zeitgeist prevalente, che colloca la piattaforma e l’insieme dei social media al centro della scena politica in molte democrazie occidentali. Si associa, piuttosto, a un ragionamento più ampio che deriva dall’evoluzione della comunicazione politica all’interno di un sistema mediale in profonda trasformazione.

Dopo aver assistito al passaggio dalla televisione ai media digitali, si assiste oggi a quello successivo, che ponei social media al centro della scena politica e del più ampio ecosistema mediale, dando corpo e visibilità al fenomeno dell’ibridazione. Per certi versi, dunque, l’associazione tra Trump e Twitter non fa altro che evocare una nuova fase della comunicazione politica, nella quale la lontananza tra il soggetto politico e i cittadini pare ridursi  sino quasi a scomparire. Per un soggetto politico “estraneo” all’establishment e con una buona propensione comunicativa, l’era dei social media si configura come la vera età dell’oro, nella quale affermare un proprio stile e creare un proprio seguito di follower. Ed è esattamente quanto ha fatto Donald Trump, nascondendosi dietro un’apparente naïveté, in contrasto evidente con l’approccio professionale che accompagnava la presenza sui social della candidata del Partito democratico.

Tramite l’enfasi sul tratto della spontaneità – ribadito anche nella scelta dell’account su Twitter: @realDonaldTrump – l’attuale presidente degli Stati Uniti ha stabilito una presenza in grado di attrarre circa cinquanta milioni di follower. Dopo l’elezione, lo stile comunicativo ha mantenuto i suoi elementi caratterizzanti, così come i suoi ritmi notturni e i numerosi refusi, interpretati non già come segno di sciatteria, ma di immediatezza e autenticità. Al riguardo, si ricordi il tweet postato intorno alla mezzanotte del 31 maggio 2017, che conteneva un refuso sul quale si è scatenata l’ironia dei social: “Despite the constant negative press covfefe”. Rimosso prontamente, è stato sostituito da un nuovo tweet che presupponeva la conoscenza di quello precedentee si associava al divertissement collettivo sull’interpretazione del termine “covfefe”: “Who can  figure out the true meaning of covfefe? Enjoy!”.Questi esempi rendono conto dello stile dell’uso di Twitter da parte di Trump – che talvolta dà vita a veri e propri twitter storm lanciati nel corso della notte – e definiscono in termini molto chiari il significato dell’operazione di disintermediazione resa possibile nell’era dei social media.

Vi è, tuttavia, anche un secondo livello interpretativo, che va oltre la dimensione spontaneistica e amatoriale rintracciabile nel suo stile comunicativo e che si configura come una vera e propria strategia politica. Si tratta del controllo dell’agenda pubblica che Trump è riuscito a ottenere tanto nel corso della campagna elettorale che dopo il suo insediamento alla Casa Bianca. Il controllo dell’agenda passa attraverso interventi mirati a intervenire sul cosiddetto ciclo informativo grazie ai processi di disintermediazione attivati. Finora, Trump è riuscito a imporre i suoi frame interpretativi in numerose occasioni e riguardo a numerosi temi a distogliere l’attenzione da vicende per lui pericolos e, a individuare e a proporre un nemico da evocare (le fake news diffuse dai legacy media, per esempio). Senza dimenticare, in ne, l’annuncio pubblico di decisioni di importanza nazionale o il licenziamento dei suoi collaboratori in una sorta di riproposizione del giudizio inappellabile che pronunciava nell’ambito del programma The Apprentice: “You are  red”, come, ad esempio, il tweet del 13 marzo 2018: “Mike Pompeo, director of the Cia, will become our new Secretary of State. He will do a fantastic job! Thank you to Rex Tillerson for his service! Gina Haspel will become the new director of the Cia, and the first woman so chosen. Congratulations to all!”.

Il successo nel controllo dell’agenda pubblica da parte di Trump è il risultato più interessante e, per certi versi, più preoccupante registrato sin qui. Se, infatti, la sua disinvoltura e la sua immediatezza nell’uso della piattaforma possono essere comunque valutati positivamente sul fronte del recupero di un rapporto meno formale con i cittadini, diverso è il caso per quel che riguarda i suoi tentativi di condizionare l’agenda pubblica. La riduzione di temi e problemi all’interno di un frame interpretativo di 280 caratteri al massimo, congiuntamente a una contrapposizione costante nei riguardi dei media tradizionali, rischia di alimentare un caos informativo, nonché di generare incidenti diplomatici di maggiore o minore entità. Non si tratta soltanto di rimuovere o promuovere collaboratori più o meno graditi o di imbarcarsi in una puerile polemica a distanza con il leader della Corea del Nord sulle dimensioni del “bottone nucleare” a disposizione. Si tratta, piuttosto, di rappresentare temi e relazioni tramite frame interpretativi che semplificano, banalizzano o ignorano questioni che, nonostante tali tentativi, mantengono la propria rilevanza che va oltre una riduzione a 280 caratteri.



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