Per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, i primi avversari non sono Russia e Cina, e tanto meno Iran e Corea del Nord, bensì i limiti al budget per la Difesa che potrebbero ripresentarsi a partire dal 2020. Parola del numero uno del Pentagono James Mattis, che di recente è apparso di fronte alla commissione Armed Services del Senato per chiedere supporto nell’attuazione della Strategia di difesa nazionale (Nds).
LE PAROLE DI MATTIS
Il documento strategico, che il generale a cinque stelle dei Marines ha presentato a gennaio, rischierebbe di essere “non sostenibile” se i limiti al bilancio del dipartimento della Difesa venissero ripristinati. Per gli anni fiscali 2018-2019, l’amministrazione Trump è infatti riuscita a far sospendere il Budget Control Act del 2011, ottenendo 700 miliardi di dollari per il 2018 (di cui 655 al Pentagono) e avanzando una richiesta da 716 miliardi per il 2019. L’interruzione dell’efficacia della sequestration vale però per due anni, e così dal 2020 potrebbe riaffacciarsi l’ombra della riduzione del bilancio difesa. “Se i limiti tornassero effettivi, il primo taglio sarebbe di 85 miliardi di dollari nell’anno fiscale 2020”, ha detto Mattis. “Ciò significa – ha aggiunto – che la Strategia risulterebbe non sostenibile; il documento è progettato per proteggere l’America e i nostri interessi. Non posso farlo senza le risorse; dovrei riscriverla e ci sarebbero riduzioni in quello che potremmo fare”. L’Nds prevede infatti un generale ammodernamento delle capacità americane in ogni ambito, al fine di “mantenere il potere in ogni dominio” di fronte alla competizione avanzata da Cina e Russia.
IL DIBATTITO CON I DEMOCRATICI
Secondo il capo di Stato maggiore della Difesa Joe Dunford (che ha accompagnato Mattis al Congresso) è necessario mantenere un crescita reale del 3% annuo del budget Difesa per realizzare tale obiettivo. “Se dovessimo tornare al Budget Control Act e ai livelli della sequestration, non completeremmo il ripristino (delle capacità) che abbiamo avviato”, ha detto Dunford. Eppure, la partita sembra essere più ampia del solo budget per la difesa. I democratici denunciano infatti il taglio delle tasse previsto da Trump e il conseguente aumento del deficit, i quali potrebbero costringere a ridurre il bilancio Difesa. “Se la strategia fiscale della nostra nazione non prende in considerazione la necessità di entrate, misure come quelle portate al deficit probabilmente renderanno estremamente difficile seguire una strategia a lungo termine per quanto riguarda qualsiasi seria sfida affrontata dall’arena internazionale”, ha detto ai vertici del Pentagono il senatore democratico Jack Reed. Tale dibattito sul debito pubblico, aveva già minacciato il deputato democratico Adam Smith, rischia di ritardare l’approvazione del budget per il 2019 destinato al Pentagono, come già avvenuto per l’anno fiscale 2018, in cui il dipartimento per la Difesa ha dovuto attendere diversi mesi prima di avere risorse definite. Mattis si era comunque già detto fiducioso: “La certezza del budget si ripercuote sull’industria americana mentre tentiamo di riarmare il Paese con capacità moderne. Non possono riuscirci se non gli diamo prevedibilità”.
LE RICHIESTE DELL’INDUSTRIA USA
A ribadirlo è stata pochi giorni fa l’Aerospace industries association (Aia, paragonabile alla nostra Aiad), l’associazione di settore che riunisce oltre 340 industrie dell’aerospazio e difesa. Nel report pubblicato il 25 aprile, e intitolato “Fostering the maufacturing & defense industrial base of the future”, l’Aia ha spiegato la necessità che il budget del Pentagono cresca almeno del 5% all’anno per rimanere “sana e stabile”, oltre a chiedere di estendere anche al futuro la sospensione dei limiti imposti dal Budget Control Act. “Possiamo risolvere qualsiasi problema di acquisizione, ma se non avremo una spesa stabile, robusta ed equilibrata, la nostra economia di libero mercato non sarà in grado di rispondere alle esigenze del dipartimento della Difesa in modo tempestivo ed efficace”, ha spiegato a DefenseNews il vice presidente dell’Aia John Luddy.
L’EFFETTO SUGLI ALLEATI
Nel frattempo, il dibattito relativo alla spesa per la Difesa si è allargato da tempo oltre i confini statunitensi. Se, all’interno, l’amministrazione Trump lavora per avere il sostegno del Congresso, all’esterno chiede agli alleati storici di assumersi le proprie responsabilità, anche nel rispetto degli impegni di spesa assunti in ambito Nato. Al Summit in Galles nel 2014, gli Stati membri si sono impegnati a destinare, entro il 2024, il 2% del Pil alla Difesa, e il 20% di tale spesa al procurement di equipaggiamenti. Ad oggi, solo quattro Paesi oltre agli Usa hanno già raggiunto l’obiettivo del 2%: Grecia, Regno Unito, Estonia e Polonia. Si avvicinano al traguardo Francia, Lettonia, Lituania e Norvegia, tutti sopra l’1,5%. L’Italia è a quota 1,12%, con un leggerissimo aumento (pari all’1,68%) tra il 2016 e il 2017, comunque troppo poco per sperare di riuscire a raggiungere il 2% nel giro di sei anni.
Sin da prima dell’elezione, Donald Trump era stato piuttosto chiaro sull’argomento, chiedendo più volte un equo burden sharing tra le due sponde dell’Atlantico. L’ultimo invito è arrivato dal neo segretario di Stato Mike Pompeo, che, fresco di conferma da parte del Senato, ha partecipato alla ministeriale Esteri a Bruxelles lo scorso venerdì, ribadendo l’attenzione Usa verso le quote definite in Galles. Con le mosse delle ultime settimane (la partecipazione all’attacco in Siria e il viaggio a Washington) il presidente Emmanuel Macron ha risposto presente, offrendosi quale partner privilegiato degli States nel Vecchio continente. Ieri, è arrivato un segnale anche dalla Germania, con il ministro della Difesa Ursula von der Leyen che ha proposto un aumento di 12 miliardi di euro per i prossimi tre anni a distanza di un paio di giorni dalla visita americana di Angela Merkel. All’appello sembra mancare l’Italia che, alle prese con la difficile situazione politica, rischia di sottovalutare l’importante dossier internazionale. Tra il Summit Nato a luglio e l’Unione europea alle prese con la difesa comune e il nuovo quadro finanziario pluriennale, i prossimi mesi saranno determinanti per ridisegnare il fronte euro-atlantico.