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Quella politica alla Aldo Moro che non esiste più

Di Emanuele Malcaluso
Aldo Moro

Quando Aldo Moro fu ucciso, egli operava allo scopo di unire, in nome dell’interesse generale del Paese, due forze politiche che per vent’anni avevano rappresentato due visioni del mondo totalmente opposte. Quello sforzo, però, oggi non è riproducibile. Non esistono più i partiti politici di un tempo; oggi le forze politiche, anzi, non posseggono un profilo politico-culturale definito, sono piuttosto degli aggregati politico-elettorali che hanno come obiettivo primario la formazione di governi, spesso senza tener conto dei problemi e delle prospettive della società che rappresentano.

Sebbene la classe politica degli anni 70 fu combattuta e contrastata, essa aveva un insediamento sociale e una cultura politica fatta di valori; valori differenti da partito a partito, potendo così sia assicurare quel contrasto sensato fra forze politiche che oggi invece viene meno, sia trovare un terreno comune di fronte alla crisi sociale, politica, economica e terroristica che si era determinata in quegli anni.

L’obiettivo di Moro e di Berlinguer era proprio quello di allargare il sistema politico attraverso le alternative fra le forze politiche per assicurare un governo stabile ai cittadini e non quello, come hanno scritto in molti, di portare i comunisti al governo. Il principio che li muoveva era quello del valore universale della democrazia secondo il quale anche includere il Pci fra le alternative di governo diventava possibile.

Oggi tutto questo non esiste. A prescindere da quello che è accaduto con le elezioni del 4 marzo, il quadro politico italiano è abbastanza sconvolgente. Le classi dirigenti sono tali da non consentire un dialogo sull’interesse generale del Paese, ma anche confronti programmatici sui problemi dell’Europa e del mondo. Oggi buona parte dei nuovi esponenti politici mira all’incarico di presidente, mentre le vecchie forze, Pd in primis, sono paralizzate.

Stiamo vivendo una crisi globale delle classi dirigenti non solo nella politica, ma anche nell’economia e nelle strutture culturali. Su questo non dobbiamo e non possiamo rassegnarci; bisogna avere il coraggio di condurre battaglie politiche e culturali. Si è perduta, negli ultimi anni, quella cultura politica di massa che permeava l’epoca di Aldo Moro e al contempo le forze politiche, i centri culturali e i media hanno perso il senso di responsabilità nei confronti della società. Urge riattivare quella politica e quella cultura che non ci sono più.

In molti hanno paragonato la Democrazia cristiana, che in qualche modo raccoglieva sia i voti dei moderati di destra sia di sinistra, e il Movimento 5 Stelle, che si dichiara un partito non schierato, pronto ad accogliere elettori di destra e di sinistra. Credo, però, che non sia possibile rinvenire alcun elemento comune fra i due partiti. La Democrazia cristiana affondava le sue radici nel Partito popolare di Sturzo, aveva una sua storia e un suo ancoraggio, a volte anche criticabile, ma traeva e fungeva da ispirazione non solo per il moderatismo cattolico, ma persino per il moderatismo laico.

I personaggi politici erano tutti di spessore, basti pensare ai fondatori della Democrazia cristiana provenienti dal vecchio Ppi, come Alcide De Gasperi, Giuseppe Spataro, Mario Scelba, ma anche ai cosiddetti professorini fra cui Amintore Fanfani, Giuseppe Lazzati e lo stesso Aldo Moro. La Democrazia cristiana, pur con tutti gli sbagli commessi, non ha alcun legame con la classe politica di oggi, così come il quadro politico di allora non è accostabile a quello odierno, fondato prevalentemente sulla negatività e su un rigurgito contestatario privo di una base politica e culturale.

Gli elettori di oggi non hanno un riferimento politico e votano e scelgono i propri rappresentanti sulla base di un sentimento di rabbia e frustrazione che inevitabilmente li angustia, mentre ieri alla base della partecipazione vi era una fiducia nelle istituzioni e nei rappresentanti delle stesse. È fondamentale tenere la storia ben presente, perché solo tramite di essa è possibile percepire come l’Italia di allora sia profondamente diversa dall’Italia di oggi e come vi sia stato un peggioramento dei processi politici.

Il Pci, la Dc, ma anche i socialisti e il Partito d’azione erano zeppi di intellettuali e professori che avevano voglia di costruire qualcosa partendo da solide basi culturali, mentre oggi viviamo uno scorporo totale fra cultura e politica. Bisogna chiedersi perché si è perso – e come recuperare – quel rapporto tra politica e cultura che caratterizzava la Prima repubblica e che l’ha resa ciò che era


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