Di fronte a una competizione internazionale che si fa sempre più feroce, l’industria europea della difesa è chiamata a un’opera di ampia ristrutturazione. Servono meno aziende ma più grandi, e scelte precise sulle tecnologie su cui investire. Parola di Giuseppe Giordo, presidente e ceo di Aero Vodochody, colosso aeronautico della Repubblica Ceca, intervenuto a Roma, alla Link Campus University, per tenere una lectio magistralis su “L’industria europea della difesa: situazione e prospettiva”. Già ad di Alenia Aermacchi, Giordo ha alle spalle una lunga esperienza nel settore aerospaziale. Oltre a guidare dal 2016 un’azienda che ha realizzato 11mila velivoli (più di 650 dei quali operativi), è oggi presidente dalla confederazione che riunisce le industrie ceche del settore, nonché membro del board di Sami, il nuovo protagonista dell’industria della difesa dell’Arabia Saudita.
LE CARATTERISTICHE DELL’INDUSTRIA DELLA DIFESA
“Quella della difesa è un’industria altamente tecnologica, ma con un fortissimo contenuto di forza lavoro, una delle poche industrie in cui l’automazione non funziona tanto”, ha detto Giordo aprendo la lectio magistralis. Si tratta di “uno dei settori in cui vengono fatti maggiori investimenti in ricerca e sviluppo”. In Europa, “ha un turn over che si aggira intorno ai 100 miliardi di euro, impegnando direttamente 500mila persone e, indirettamente, altri 1,2 milioni, con un effetto moltiplicativo dell’investimento tale per cui ogni euro investito in programmi relativi alla difesa ha un ritorno di 2 euro nel sistema economico”. Tra i settori che la compongono, quello dell’aeronautica e aerospazio “è forse il più trainante, con il maggior numero di imprese, una forte competitività sui mercati internazionali e importanti investimenti in ricerca e sviluppo”. Quello aeronautico è tra l’altro “l’unico campo dove ci sono state collaborazioni internazionali che hanno avuto successo”, ha spiegato Giordo ricordano i programmi Tornado ed Eurofighter, ma anche la joint venture missilistica MBDA, casi in cui “si è sorpassata la tendenza a competere tra Stati”.
UNA PIRAMIDE A TRE LIVELLI
A ogni modo, l’industria della difesa europea può essere descritta come “una piramide a tre livelli”, ha rimarcato Giordo. Il suo apice è rappresentato da “pochissime grandi aziende in grado di fornire un prodotto finito (come Dassault e Thales in Francia, Leonardo in Italia, o Saab in Svezia): si tratta di campioni nazionali dei singoli Stati che registrano fatturati annuali intorno ai 10 miliardi di euro”. CìSi tratta di “campioni nazionali che rappresentano gli interessi dei propri governi, molto posizionati sui mercati domestici, che controllano quasi al 100%, e dotati di una buona reputazione internazionale; essi cooperano e competono allo stesso momento”. Il secondo livello consiste in “un centinaio di aziende che partecipano ai programmi dei grandi player fornendo sistemi complessi e con fatturati annui di 1,5 miliardi”. Infine, ha aggiunto il ceo di Aero Vodochody, “il terzo livello è il più importante, quello su cui la politica industriale di un Paese deve puntare; si tratta di oltre 1.400 piccole medie imprese in Europa, con dimensioni molto inferiori rispetto alle altre, ma con partecipazione significativa ai programmi”. D’altronde, ha ricordato Giordo, “per le grandi piattaforme, normalmente l’impresa responsabile dà fuori il 70% del lavoro”.
UN’EUROPA A MOLTE VELOCITÀ
Eppure, il Vecchio continente sembra ancora lontano da una vera e propria integrazione del settore. “Quello che succederà all’industria della difesa europea in futuro dipende da quello che succederà all’Europa, e questo non è dato sapere”, ha spiegato Giordo. Tuttavia alcune indicazioni si possono dare: “La struttura industriale europea deve essere razionalizzata; ci sono troppe imprese e troppe aree con competizioni senza sinergie; bisogna avere meno aziende ma più grandi, e occorre dirigere gli investimenti verso solidi programmi europei che consentano all’industria continentale di mantenere il gap tecnologico rispetto alla competizione internazionale”. Può essere utile in questo la nascente difesa europea. “La Pesco è un tentativo di avere un embrione di bilancio comune e di identificare programmi su cui trovare sinergie”. L’idea è “brillante”, ha detto Giordo, pur intravedendo “un grandissimo rischio: che diventi solo uno strumento con cui due o tre industrie europee di altrettanti Paesi ricevano soldi e gli altri mettano solo contributi finanziari senza ritorni”. È questa una preoccupazione che arriva soprattutto “dall’atteggiamento francese e tedesco”, palesatosi nel recente nuovo annuncio sul “Futuro sistema da combattimento aereo”.
IL CONTESTO INTERNAZIONALE
Tutto questo mentre il contesto internazionale evolve con rapidità. Diverse imprese europee, ha notato Giordo, “non riescono a operare con la velocità che il mercato richiede e rischiano di perdere posizionamento soprattutto nel mercato internazionale”. E per l’Europa il riferimento internazionale restano gli Stati Uniti che, “con un mercato interno non comparabile con qualsiasi altro Paese e il grande supporto governativo”, presentano una “struttura industriale pragmatica, basata su competenza e centri di competenze che evitano duplicazioni e sovrapposizioni grazie a una politica industriale molto chiara”. Ciò è il risultato di “una ristrutturazione industriale avviata 15 anni fa, che ha portato a identificare i segmenti e la tecnologia su cui investire”. D’altra parte, anche la Russia presenta “grandissime ambizioni tecnologiche e di crescita”. Negli ultimi anni, “ha acquisito tecnologie che non aveva, soprattutto nell’elettronica e nei software, e così sta colmando il gap avuto per anni con Usa ed Europa”. Ciò, anche in questo caso, grazie a una “forte riorganizzazione industriale che probabilmente porterà presto alla nascita di un unico colosso del settore, tra l’altro privatizzato, pur conservando il forte supporto del governo”. Difatti, ha evidenziato Giordo, “non c’è visita internazionale in cui Putin non cerchi di vendere prodotti russi; e questo è un rischio perché la Russia compete in alcuni mercati in cui Europa vorrebbe accedere”. Se poi anche la Cina sta raggiungendo “un livello tecnologico pari a quello statunitense”, non bisogna dimenticare altri Paesi che sembrano distinguersi come esempi di “un sistema che si muove”: Turchia, Corea del Sud e Arabia Saudita. Quest’ultima, ha concluso Giordo, ha scelto il comparto della difesa “come elemento della Vision 2030 con cui punta a staccarsi dal petrolio e diversificare l’economia”.